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Covid-19, consorzio italiano
produrrà circa 50 milioni
di mascherine al mese

Si sbloccano le commesse dall'estero

Ma criticate le regole per riconvertire

di Giacomo Andreoli25 Marzo 2020
25 Marzo 2020

Come anticipato da LumsaNews, un consorzio di imprese intorno al Sistema Moda di Confindustria, ora allargato alla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, è pronto a produrre mascherine riconvertendo le proprie fabbriche. Ieri il Commissario Straordinario all’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, ha spiegato che “arriveranno a produrre circa 50 milioni di mascherine al mese, che copriranno metà del nostro fabbisogno, pari a oltre 90 milioni di pezzi al mese”. Per queste imprese è previsto un fondo di 50 milioni.

Il premier Giuseppe Conte ha detto al Tg5 che il consorzio sarà pienamente operativo tra tre giorni e “produrrà 2 milioni di pezzi del modello chirurgico al giorno”. A questo si affiancano gli imprenditori e il Politecnico di Milano. Secondo il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana “hanno creato dei dispositivi che sono stati giudicati idonei dall’Istituto superiore della sanità e dovrebbero entrare in produzione fra pochi giorni”. Il problema mascherine comincia quindi a vedere una soluzione, anche grazie alle forniture dall’estero.

Solo ieri ne sono state distribuite 4,9 milioni chirurgiche e filtranti e 1,9 mln di quelle specialistiche per personale sanitario, anche grazie allo sblocco delle commesse da Turchia, Brasile ed Egitto. Ed è partita la distribuzione dei 100 milioni di dispositivi dalla Cina: 8 milioni dei modelli migliori (FFp2 e FFp3) e 6 milioni di chirurgiche arriveranno ogni settimana a partire dal 29 marzo. A favorire l’arrivo delle mascherine in Italia sarà anche un apposito ponte aereo della Nato tra il paese del Dragone e l’Europa. Ora, dunque, è il momento dell’organizzazione.

L’obiettivo indicato dal Commissario è quello di “garantire una dotazione, la più ampia possibile, di dispositivi di protezione per difendere sempre meglio il personale sanitario e i lavoratori che consentono all’Italia di non fermarsi”. Linea dettata in primis dal ministro della Salute, Roberto Speranza, secondo cui “la priorità nella distribuzione dei dispositivi di protezione deve andare sempre a medici, infermieri e operatori sanitari”. Ad oggi, però – è la denuncia di molti medici – modelli adeguati continuano a mancare in diversi ospedali.

Intanto arrivano le prime critiche all’ordinanza di Arcuri in cui sono spiegate le regole per la riconversione che dovranno seguire le imprese italiane. Secondo il quotidiano Il Tempo “le procedure per fare domanda sono farraginose e lunghissime, quelle per accoglierla ancora di più” e alle aziende è richiesto “l’esame del sangue e una perizia giurata sugli ultimi due bilanci”, oltre al vaglio dei laboratori competenti e al via libera dell’Inail, se si tratta delle mascherine per i lavoratori e dell’Istituto superiore di Sanità se vanno agli operatori sanitari. Le procedure servono per far rispettare i parametri europei (i dispositivi non devono essere né troppo sottili né troppo spessi per non ostacolare la respirazione, devono essere in Tnt e possedere molti altri requisiti di legge). Ma, come denuncia Libero, questi passaggi richiedono soldi che lo Stato potrebbe non riuscire a coprire con il fondo messo in campo e quindi alcune piccole aziende sarebbero già state costrette a rinunciare. Anche se ci sono imprese come il gruppo Miroglio di Alba, in Piemonte, che per produrre mascherine ha ricevuto l’ok dall’Unità di Crisi di Torino, by-passando la certificazione “normale” grazie a una deroga della Regione.

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