Si chiama Global Compact for Migration. Si tratta dell’accordo voluto dall’ONU nel tentativo di dare una risposta globale al problema della migrazione. Nel 2016, nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di New York una dichiarazione d’intenti è stata firmata da 193 paesi ed è stato ribattezzato, proprio per la location, “Dichiarazione di New York“, che ha avviato i negoziati che si sono da poco conclusi.
Il principale obiettivo del Global Compact è creare una rete internazionale per l’accoglienza di migranti e rifugiati. Un’accoglienza “sicura”, si legge nella dichiarazione, e di “sostegno”. Il punto di partenza del Global Compact è il principio, condiviso dai vari firmatari, che la questione delle migrazioni debba essere affrontata a livello globale tramite una rete di collaborazione internazionale. Nel documento si parla di migrazione “disciplinata, sicura, regolare e responsabile” e prevede una lunga serie di impegni da parte di tutti i Paesi per tutelare “diritti e bisogni” di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese. Uno dei principi più invisi alle forze politiche che lo avversano è quello che chiede “il riconoscimento e l’incoraggiamento degli apporti positivi dei migranti e dei rifugiati allo sviluppo sociale”. Il Patto prevede inoltre un maggiore sostegno ai Paesi e alle comunità che ospitano il maggior numero di rifugiati.
Il governo italiano ha deciso di sospendere l’adesione all’accordo, ad annunciarlo è stato lo stesso Premier Giuseppe Conte in una nota: “Il Global Compact for Migration è un documento che pone temi e questioni diffusamente sentiti anche dai cittadini”. Per questo, si legge, il governo ritiene “opportuno parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all’esito di tale discussione, come è stato deciso anche dalla Svizzera”. I primi a voltare le spalle al Global Compact sono stati gli USA, già nel dicembre del 2017, lo scorso luglio si sono tirate indietro Australia e Ungheria.