Più cinici, ansiosi, nervosi. Uno studio promosso dal Centro di Ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nell’ambito del progetto “C.O.P.E.” (Covid19-related Outcomes of health Professionals during the Epidemic), condotta nelle prime quattro settimane dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, ha mostrato che sette operatori sanitari su dieci, impegnati nelle Regioni italiane più colpite dall’epidemia da Coronavirus hanno mostrato sintomi di “burnout”. Nove su dieci hanno dichiarato di avere avvertito nei mesi più drammatici dell’emergenza sanitaria sintomi di stress psico-fisico.
In ambito lavorativo con il termine burnout si definisce quella situazione di stress associata anche a minor resa sul lavoro, affaticamento fisico e mentale, cattiva salute che una persona può manifestare
Dei 1.150 operatori sanitari coinvolti nello studio che hanno compilato un questionario, la metà ha mostrato alti livelli di preoccupazione e percezione del rischio contagio. Il 65% dei rispondenti ha dichiarato di essersi sentito più irritabile del normale, il 62% di avere avuto maggiori difficoltà ad addormentarsi, poco meno del 50% di aver sofferto di incubi notturni, circa il 45% di aver avuto crisi di pianto e il 35% palpitazioni.
Per quanto riguarda lo stress lavorativo, un operatore su tre mostra segni di alto esaurimento emotivo (la sensazione di essere emotivamente svuotati, logorati ed esausti) e uno su quattro moderati livelli di depersonalizzazione (ovvero, la tendenza ad essere cinici, trattare gli altri come “oggetti”, sentirsi indifferenti rispetto ai pazienti e ai loro familiari).
Il personale sanitario si è trovato a dover fronteggiare una situazione estremamente stressante e complessa, dai tratti imprevedibili, mettendo a serio rischio la propria salute non solo fisica – dichiara la dottoressa Serena Barello, ricercatore di EngageMinds HUB dell’Università Cattolica e responsabile dello studio – ma anche emotiva e psicologica, inasprendo aspetti di vulnerabilità la cui tenuta è già precaria”.
Il dottor Andrea Silenzi, vicepresidente della Società Italiana di Leadership e Management in Medicina afferma che “una prospettiva di questo genere rende urgente una politica di tutela nei confronti dei sanitari che dovrebbe tendere a migliorare le condizioni lavorative e mitigare sin da subito l’impatto di questa emergenza sul benessere dei professionisti sanitari. Servirebbe un piano pratico per rafforzare la resilienza degli operatori della salute durante e dopo la pandemia, evitando che diventino le vittime ulteriori del peso psicologico, emozionale e cognitivo della situazione critica vissuta è per questo cogente”.
“D’altro canto – concludono i ricercatori – la più grande sfida e opportunità per il sistema socio-sanitario oggi è, forse, proprio quella di ricostruire quel senso empatia che ci unisce e ci permette di riconoscerci reciprocamente come esseri umani”.