Quarantena giorno tredici, in Italia. Giorno sette in Francia e giorno dieci in Germania.
Questa mattina Salvatore ha mandato, sul gruppo Whatsapp che condivido con i miei amici d’infanzia, un video. C’è lui che, ancora in pigiama, apre la finestra della sua camera a Milano e urla ai suoi vicini “Buongiorno!”.
Poco dopo risponde Marisa che vive a Berlino. Lei ha filmato il parchetto sotto casa sua: ci sono quattro bambini, due uomini e due anziani che no, non devono uscire di casa “perché il virus così circola”, dice sempre lei nel video.
Siamo tutti preoccupati. Molto. Siamo anche annoiati. Tanti di noi, poi, sono lontani da casa, dalla propria famiglia. Quella di restare nelle città dove viviamo, chi per motivi di studio, chi per lavoro, è stata una decisione che abbiamo preso insieme via chat, poco prima che Giuseppe Conte annunciasse coram populo che l’Italia era zona rossa. L’abbiamo fatto per i nostri genitori, che vivono tutti nello stesso paese in Sardegna, e l’abbiamo fatto anche per gli altri compaesani. Restando fermi dove siamo abbiamo voluto scongiurare la possibilità di “portargli il virus”. Siamo consapevoli di poter essere stati a contatto con persone che, potenzialmente, lo hanno contratto.
I posti in terapia intensiva nei vari ospedali della Sardegna, poi, sono molti di meno rispetto al resto dell’Italia: sarebbe stato ancora più incosciente per noi, esporre le persone a un rischio del genere per un semplice capriccio.
Nessuno di noi ha lasciato la città in cui vive attualmente. Io e mio fratello Davide abitiamo nella stessa casa a Roma, io studio, lui studia, allena e fa il fattorino. Anche Giulia e Laura, che sono sorelle, vivono insieme nella capitale, sono qui per motivi di lavoro: Giulia lavora nel campo delle risorse umane, mentre Laura è una consulente. Annalisa è l’ultima delle mie amiche che abita a Roma, in un’altra zona rispetto a noi quattro, il più vicino alla Sapienza, dove ha studiato.
Claudio, Chiara, Anna e Dario, invece, vivono a Cagliari. Tra di loro c’è chi lavora, chi studia, chi sta facendo un dottorato, non abitano nella stessa casa e anche loro è da un po’ che non si vedono. Marisa vive a Berlino con il fidanzato, e quest’anno ha deciso di riprendere gli studi e sta frequentando una scuola per diventare psicoterapeuta. Poi c’è Bianca che si è trasferita due settimane fa a Montpellier, in Francia, per un tirocinio post laurea.
Le uniche che abitano con i propri genitori, a Paulilatino, sono Cristina e Francesca. Le invidio, molto. Stare con i propri genitori in un momento così difficile è quello di cui tutti avremmo bisogno. I genitori sono il nostro punto di riferimento, averli distanti rende tutto più complicato. Dobbiamo badare a noi stessi, e sì lo facciamo da anni ormai, ma in momenti così un abbraccio di una persona cara forse serve più di mille altre cose. Specie per noi che siamo lontani tutto l’anno.
Per non sentirci soli scriviamo spesso nel gruppo Whatsapp: ci scambiamo ricette, mandiamo le foto dei nostri piatti, ci aggiorniamo sul numero dei morti e dei guariti per il Coronavirus in Italia e nel mondo, programmiamo le nostre giornate chiusi in casa, aspettiamo che finalmente tutto torni alla normalità.
Ma soprattutto, ci sfoghiamo. Perché, come diceva Jorge Luis Borges, “non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita, non ho risposte per i tuoi dubbi o timori, però posso ascoltarli e dividerli con te”. E noi è questo che facciamo: dividiamo i nostri pensieri e li moltiplichiamo.
Salvatore, a Milano, vive nella zona più colpita dal virus in Europa. Il suo periodo di isolamento è iniziato prima degli altri. È dal 24 febbraio che lavora in smart-working: in via precauzionale, la sua azienda ha deciso di far restare i dipendenti a casa. L’annuncio di Milano zona rossa da parte del presidente del Consiglio era nell’aria e, forse sbagliando, gli abbiamo tutti consigliato di venire a stare da noi a Roma.
Più lungimirante (e forse anche forte) degli altri, Salvatore ha deciso di stare in quella che da sei anni è la sua città, la sua casa, con i suoi due coinquilini. “Sicuramente non è il posto migliore, ma non mi immaginerei di passare la quarantena da nessun’altra parte perché ormai è questa casa mia”, racconta. I genitori di Salvatore sono anziani e non stanno molto bene, per lui tornare a Paulilatino non è mai stata un’eventualità perché “sono stato molto esposto a rischi, sarebbe stato un atto di incoscienza pura nei confronti dei miei familiari e della mia terra”, continua.
È preoccupato. Dopo le prime due settimane, è angosciato, specie per la madre e per il padre, che “comunque stanno uscendo pochissimo”, conclude. I genitori di Salvatore, fortunatamente, possono contare sull’altro figlio, che vive ancora nel nostro paese: si occupa della spesa e di procurare loro tutto ciò di cui hanno bisogno, senza che debbano uscire di casa. Lui, personalmente, si sente più utile a distanza, con le sue raccomandazioni.
“La mia scuola, essendo privata, nonostante le restrizioni degli ultimi giorni, è ancora aperta. Ma la mia classe ha deciso ugualmente di rimanere a casa”, dice, invece, Marisa, che si è trasferita qualche anno fa in Germania per amore. All’età di 12 anni Marisa ha scoperto di avere il diabete, malattia che rientra tra le complicazioni nel caso di contagio. Per questo deve stare più attenta degli altri. Il fatto che, fino a pochi giorni fa, l’emergenza sia stata sottovalutata non la fa stare tranquilla. “Purtroppo il pregiudizio della maggior parte delle persone di pensare che ‘tanto a me non succede’ ce l’ho pure io. Sono più preoccupata per il mio fidanzato: è asmatico e si ammala molto più di me”, confessa. Neanche lei ha pensato di tornare a casa dai genitori. L’ha fatto innanzitutto per il suo compagno, per non lasciarlo solo. Ma una domanda se la fa: “Quando potremo tornare in Sardegna?”.
La stessa domanda che scuote Laura. Qualche giorno fa Cristina, l’amica deputata all’invio dei link che pensa ci possano interessare, ha mandato un articolo in cui si riportava la notizia che Cristian Solinas, governatore della Sardegna, ha chiesto lo stato di emergenza per la regione fino al 31 luglio. Laura è andata nel panico. Lei, come me, sente molto la mancanza della famiglia, e non vede l’ora di tornare in Sardegna per riabbracciare propri cari.
“Comunque posso anche smettere di fare palestra – ha scritto nel gruppo Whatsapp -. Tanto non andremo al mare”. Abbiamo riso tutti. Laura ci fa sempre ridere, il suo modo di sdrammatizzare penso sia una delle tante ragioni per cui le si vuole bene.
Francesca, la ragazza che vive con i genitori e che a giugno, probabilmente, diventerà medico senza dover fare l’esame di Stato, l’ha tranquillizzata: a nuotare e a prendere il sole nelle nostre bellissime spiagge ci andremo. Anche quest’anno.
Bianca, forse, vive la situazione più paradossale. Fino a tre settimane si trovava in Sardegna. L’emergenza Coronavirus era ancora qualcosa di effimero e di lontano, sia dalla nostra isola, sia dalla vicina Francia. Sicuramente non a cuor leggero, ha deciso di partire lo stesso per Montpellier. Lì ha iniziato uno stage in una scuola, che è stata chiusa al pubblico solo pochi giorni fa. Dopo la chiusura, lei è stata molto indecisa su cosa fare: tornare o restare? Alla fine ha prevalso il buon senso: “Mi sembrava sconsiderato tornare. In Sardegna non possiamo permetterci per nessun motivo che aumentino i contagi, per via degli ospedali, e non solo: i medici si stanno ammalando e molti reparti sono stati chiusi per permettere una sanificazione”. Bianca avrebbe voluto viaggiare per la Francia. Ma, come tutti, ha messo la sua vita in pausa per il bene comune.
La quarantena è difficile, per tutti. Mette a dura prova i nervi, ti costringe a inventare cose che non avresti mai pensato di fare pur di passare qualche ora di svago. La quarantena, forse però, è più difficile per chi vive lontano da casa.
“Stare da soli non è semplice neanche durante l’anno, in questa situazione lo è ancora di più. Ma – conclude Giulia – mi sto convincendo che è la scelta giusta, anche l’unica che potevamo prendere. In aereo o in traghetto, non avremmo viaggiato da soli, avremmo incontrato altre persone. Perché rischiare?”.
E quindi distanti ma uniti è diventato il nostro motto.