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Coronavirus, in Ucraina
assalto a bus di rimpatriati
ma erano negativi ai test

Intanto altri 48 casi in Corea del Sud

crolla il comparto dell'auto in Cina

di Patrizio Ruviglioni21 Febbraio 2020
21 Febbraio 2020

epa08233251 South Korea's President Moon Jae-in (3-L) receives an emergency report from Prime Minister Chung Sye-kyun (3-R) during a meeting at the presidential office in Seoul, South Korea, 21 February 2020. South Korea's prime minister declared the southeastern cities of Daegu and Cheongdo as 'special care zones' after a cluster of COVID-19 cases has been reported in the region in recent days. According to media reports, a religious sect in the city of Daegu accounted for 30 of the 53 new cases in the country. South Korea has so far reported 156 confirmed cases of contagion and currently accounts for the second largest number of infections outside mainland China. The SARS-CoV-2 outbreak, which originated in the Chinese city of Wuhan, has so far killed more than 2,000 people with over 76,000 infected worldwide, mostly in China. EPA/YONHAP SOUTH KOREA OUT

Scene di isteria collettiva, in Ucraina, davanti alla minaccia del coronavirus. Nella notte, una folla inferocita ha lanciato sassi e acceso fuochi contro alcuni pullman che trasportavano 45 cittadini ucraini e 27 stranieri rimpatriati con un volo da Wuhan.

L’episodio è avvenuto fra l’aeroporto di Kharkiv, dove i passeggeri erano atterrati, e l’ospedale di Novi Sanzhary, dove erano diretti per un periodo di quarantena. A scatenare la protesta potrebbe essere stata una falsa email del ministero della Salute ucraino, secondo la quale i rimpatriati – in realtà tutti negativi ai test – avrebbero in realtà contratto il virus.

Nel frattempo, in Corea del Sud ci sono stati altri 48 casi, che portano il conteggio totale a 204 infetti. Una situazione comunque “gestibile”, secondo il Korea Center for Disease Control and Prevention, nonostante i contagi si siano quadruplicati negli ultimi tre giorni.

Intanto, in Cina il bilancio delle vittime del coronavirus arriva a 2233, con altri 155 decessi a Hubei. E l’industria dell’auto ne risente: il blocco imposto dal Governo centrale alla riapertura delle fabbriche nella regione, nei primi sedici giorni di febbraio ha ridotto le immatricolazioni del 92%. Lo riferiscono le statistiche della China Passenger Car Association. In Iran, infine, altri due morti.

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