L’Italia, dopo la Cina, è il Paese al mondo più colpito dal coronavirus. I casi accertati sono 15.133, lo 0,02% della popolazione. Un numero piccolo, ma che comunque sta riuscendo a mandare in crisi uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.
A preoccupare è il numero dei morti: 1.016, una cifra preoccupante se paragonata a quella dei decessi nelle altre nazioni. In Italia muore il 6,7% dei pazienti affetti da Covid-19, in Cina il 3,88%, in Iran il 3,61%. A Wuhan, epicentro della malattia, i morti non superano il 4,5%.
L’Italia è uno “Stato anziano”, suscettibile a maggiori problematiche in caso di crisi sanitarie. Eppure la Germania, nazione simile alla nostra per composizione della popolazione, a oggi conta soltanto due decessi su 1.457 casi accertati: lo 0,14%. Ancora, in Corea del Sud, dove i numeri della diffusione del virus più si avvicinano all’Italia, muore lo 0,72% dei pazienti affetti da coronavirus.
Secondo l’associazione Mondiale delle Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, “a contribuire a questo tragico primato sono l’eterogeneità dei trattamenti in tutto il territorio e la scarsa tracciabilità dei casi positivi asintomatici a cui non viene effettuato il tampone nonostante siano stati a stretto contatto con uno o più pazienti accertati, contribuendo in modo inarrestabile alla crescita del contagio”. Il rischio è che “la politica del tampone solo a pazienti sintomatici potrebbe rivelarsi insufficiente”, come detto da primario infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli, in un’intervista a Il Messaggero.
C’è pero un’incognita rappresentata dalle molte diagnosi fatte post-mortem, su pazienti che riscontravano gravi malattie già prima di contrarre il virus. Il dubbio sulla possibilità che l’attribuzione dei decessi al virus possa variare di Paese in Paese è qualcosa che rimane. Una questione essenziale che potrebbe influire molto sulla percezione che il coronavirus ha sulle nostre vite.