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HomeCronaca Coronavirus, in Italia si muore di più che altrove. Abbiamo il 6,7% dei decessi

Coronavirus, in Italia
si muore di più che altrove
Abbiamo il 6,7% dei decessi

È la percentuale più alta al mondo

12 volte superiore alla Corea del Sud

di Flavio Russo13 Marzo 2020
13 Marzo 2020

Healthcare professionals wearing protective suits and healthcare masks at work inside the isolation area of the Amedeo di Savoia hospital in Turin, northern Italy, 05 March 2020. Premier Giuseppe Conte said Thursday the cabinet had earmarked 7.5 billion euros "to support families and businesses that are facing the (coronavirus) emergency". "They are extraordinary and urgent measures", he said. "On the deficit there has not been any leap into the dark", he said, and stressed "the EU will understand". ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

L’Italia, dopo la Cina, è il Paese al mondo più colpito dal coronavirus. I casi accertati sono 15.133, lo 0,02% della popolazione. Un numero piccolo, ma che comunque sta riuscendo a mandare in crisi uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.

A preoccupare è il numero dei morti: 1.016, una cifra preoccupante se paragonata a quella dei decessi nelle altre nazioni. In Italia muore il 6,7% dei pazienti affetti da Covid-19, in Cina il 3,88%, in Iran il 3,61%. A Wuhan, epicentro della malattia, i morti non superano il 4,5%.

L’Italia è uno “Stato anziano”, suscettibile a maggiori problematiche in caso di crisi sanitarie. Eppure la Germania, nazione simile alla nostra per composizione della popolazione, a oggi conta soltanto due decessi su 1.457 casi accertati: lo 0,14%. Ancora, in Corea del Sud, dove i numeri della diffusione del virus più si avvicinano all’Italia, muore lo 0,72% dei pazienti affetti da coronavirus.

Secondo l’associazione Mondiale delle Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, “a contribuire a questo tragico primato sono l’eterogeneità dei trattamenti in tutto il territorio e la scarsa tracciabilità dei casi positivi asintomatici a cui non viene effettuato il tampone nonostante siano stati a stretto contatto con uno o più pazienti accertati, contribuendo in modo inarrestabile alla crescita del contagio”. Il rischio è che “la politica del tampone solo a pazienti sintomatici potrebbe rivelarsi insufficiente”, come detto da primario infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli, in un’intervista a Il Messaggero.

C’è pero un’incognita rappresentata dalle molte diagnosi fatte post-mortem, su pazienti che riscontravano gravi malattie già prima di contrarre il virus. Il dubbio sulla possibilità che l’attribuzione dei decessi al virus possa variare di Paese in Paese è qualcosa che rimane. Una questione essenziale che potrebbe influire molto sulla percezione che il coronavirus ha sulle nostre vite.

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