Nonostante la petizione lanciata su Il Giornale, dal direttore Alessandro Sallusti, sia stata sottoscritta da circa 20mila persone, Silvio Berlusconi non cel’ha fatta. Ieri la Cassazione, dopo 5 ore di camera di consiglio, ha confermato l’interdizione dai pubblici uffici della durata di 2 anni. Ora il Cavaliere non solo dovrà rinunciare alla candidatura alle elezioni Europee ma non avrà nemmeno diritto al voto. Il processo Mediaset, iniziato nel 2013 con la condanna per frode fiscale di 4 anni, si è chiuso ieri con l’irrevocabile decisione dell’ultimo grado di giudizio. Sono state ritenute “ irrilevanti” le motivazioni di incostituzionalità presentate dalla difesa di Berlusconi, come inutile la richiesta di portare gli atti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
“Prendiamo atto con grande amarezza della decisione della terza sezione penale della Corte di Cassazione – ha affermato Niccolò Ghedini, legale del Cavaliere – come abbiamo detto nel corso dell’udienza di oggi, avremmo ritenuto quantomeno necessario un approfondimento presso la Corte Europea di Strasburgo”.
La Cassazione ha accolto le richieste di Aldo Policastro, procuratore generale della Corte, che aveva chiesto la conferma della sentenza del 19 ottobre 2013, con pena ridotta a due anni rispetto ai quattro stabiliti nell’agosto 2013.
“Questa sentenza era già scritta, mi stupisco dello stupore – ha dichiarato Daniela Santanchè – sconfessarla avrebbe significato sconfessare vent’anni di accanimento giudiziario nei confronti di Silvio Berlusconi. Questa un’altra prova che in questo paese c’è qualcuno che non vuole che emerga la verità”. Con lei Anna Maria Bernini, vice capo gruppo al Senato di Forza Italia e Pdl, che ha definito la sentenza “ una ferita per la democrazia”.
Ora l’ex premier non sembra avere vie d’uscita, secondo il diritto vigente, considerati l’articolo 28 e la legge Severino, l’esclusione è tassativa.
A chi sostiene che la decisione della Corte rappresenti una ferita alla democrazia, risponde su La Repubblica il costituzionalista Massimo Luciani: “E’ evidente che collegare l’incandidabilità o l’ineleggibilità alla pronuncia di un giudice determina un’interferenza tra giurisdizione e politica. Si deve tuttavia considerare che quelle conseguenze sono previste perché si parte dall’idea che l’elezione di un condannato metterebbe a rischio la dignità dell’assemblea rappresentativa”.
Cecilia Greco