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Vertice antiterrorismo di Parigi. Hollande: “Non c’è tempo da perdere”

di Samantha De Martin16 Settembre 2014
16 Settembre 2014

parigi

Mentre due aerei Rafale si levavano in volo dalla base militare francese negli Emirati Arabi Uniti per una prima missione di ricognizione sulle roccaforti dell’Isis, in vista di bombardamenti che potrebbero essere molto vicini, il presidente francese François Hollande ha parlato ai 25 diplomatici della conferenza di Parigi, esordendo con un preoccupato “non c’è tempo da perdere”.

L’obiettivo comune di combattere i terroristi islamici “con tutti i mezzi possibili”, attraverso un sostegno al governo iracheno nella lotta contro lo Stato Islamico, è l’impegno coralmente emerso al termine della conferenza che ha visto riuniti, nella capitale francese, i diplomatici di 25 Paesi, fra cui dieci arabi. Il presidente iracheno Fouad Massoum, a fianco del presidente francese, ha definito i jihadisti “espressione di un pensiero oscurantista e sanguinario”, condannando il “genocidio” e la “pulizia etnica” messi in atto.

Dopo l’intervento di Hollande, la riunione di Parigi è proseguita a porte chiuse, con i ministri degli esteri impegnati ad esporre la posizione di ciascun Paese, privilegiando, ognuno, i risvolti politici, umanitari della questione, ma senza sbilanciarsi troppo in merito a un intervento concreto.

“Combatteremo i terroristi con tutti i mezzi possibili” ha assicurato il capo della diplomazia francese, Laurent Fabius, ponendo anche una questione terminologica proponendo di usare l’acronimo Daech (arabo per Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) che sottrarrebbe all’organizzazione terroristica la presunta natura di “Stato”. “Non voglio chiamarli Stato Islamico – ha insistito Fabius -. Questi assassini non c’entrano nulla con uno Stato né con la religione musulmana, io li chiamerò ‘gli sgozzatori del Daech’”. La condanna dei trenta Paesi più potenti al mondo riuniti a Parigi mentre una coalizione internazionale occidentale e araba va lentamente addensandosi sui cieli del Medio Oriente alla vigilia di un intervento armato, si fa forte di un volenteroso impegno, ma pecca concretezza, mancando, al momento, un piano unanime di intervento. Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, ha confermato che l’Italia non parteciperà ai raid, e che si concentrerà su un più cauto invio di armi e munizioni, restando attiva sul piano degli aiuti umanitari. “C’è un lavoro politico da fare – ha detto il ministro – e credo che l’Italia possa giocare un ruolo importante”, forte delle buone relazioni intrattenute con tutti i Paesi della regione.

Mentre la Gran Bretagna vacilla in merito alla decisione di inviare i propri aerei contro i “tagliagole” e la Germania arma i peshmerga curdi con missili anticarro, i Paesi arabi – anch’essi presenti alla conferenza di Parigi – indugiano in una silenziosa reticenza sul loro impegno: su tutti il Qatar, alleato di Usa e Francia nella regione, che nega però agli americani l’utilizzo della base di Al Udeid.

Intanto le conseguenze del raid aereo sferrato dagli Stati Uniti, tra domenica e lunedì, a sud ovest di Baghdad, a sostegno delle forze di sicurezza irachene, vicino Sinjar, offre un primo positivo bilancio. L’Isis si starebbe adattando alle incursioni aeree americane e irachene per ridurre le perdite. Gli attacchi – stando a quanto affermato dagli analisti – avrebbero permesso di allontanare gli islamisti da alcuni punti chiave, impedendo una nuova avanzata. Gli americani sostengono che il Califfo abbia cercato di disperdere le proprie forze mimetizzando i mezzi da combattimento all’interno dei centri urbani. Teloni color sabbia, canali, anfratti, sarebbero utilizzati per camuffare il materiale. In vista delle prossime mosse che non prevedono però una strategia “Shock and Awe” (colpisci e terrorizza), la Casa Bianca auspica altri raid che affianchino quelli di alcuni Paesi arabi disposti a farlo.

Samantha De Martin

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