Ha fatto rumore nel mondo del web, dando vita a un interessante dibattito digitale, il corsivo di Michele Serra pubblicato ieri da “La Repubblica” nella consueta rubrica tenuta dal giornalista: “L’Amaca”. L’articolo, un testo dove viene aspramente criticata la possibilità lasciata agli internauti dai siti di informazione di criticare i testi redatti dalle proprie firme, è stato contestato in particolar modo da Arianna Ciccone, la fondatrice del Festival del Giornalismo di Perugia.
L’affondo di Serra. La Ciccone infatti, appena letta l’opinione di Serra, ha subito aperto una discussione su Facebook, risoluzione ritenuta nel suo complesso come la miglior risposta da contrapporre al biasimo espresso dall’articolista de “La Repubblica” verso una democratizzazione delle opinioni che molto spesso, senza alcun paletto a delimitare le conversazioni, non è altro che narcisistica anarchia. Concetto che Serra, ricordando l’antica lezione dei “microfoni aperti” di Radio Radicale, riassume con un secco aforisma: «il prezzo di una libertà senza regole e senza selezione è moltiplicare la voce dei mascalzoni e – soprattutto – degli idioti».
La replica della Ciccone. Per l’opinionista del giornale di centrosinistra basta quindi oggi «leggersi i normali “commenta la notizia”» per chiedersi «perché questo pensierino gretto e mediocre, un tempo confinabile al bancone di un bar, deve finire sotto gli occhi di centinaia di persone». La risposta, anzi, le risposte, a questa domanda, le hanno provate a dare gli utenti del più famoso social network aderendo alla discussione appositamente creata dalla Ciccone, che così ha esordito: «michele serra ha un evidente problema con il mondo che cambia. mi fa molta impressione questa amaca… Mi fa impressione rendermi conto che uno come lui proprio non sta capendo…».
La moderazione. I commenti a seguire hanno poi contribuito a creare un clima di dialogo, dove l’educazione nell’esprimersi e il rispetto per il punto di vista dell’altro hanno rappresentato quelle regole implicitamente invocate da Serra. E quando un internauta, nonostante tutto, ha provato ad alzare un po’ i toni, la Ciccone, usando una preterizione, non ha tardato ad ammonirlo: «Gabriele in tutta sincerità non ho voglia proprio di moderare commenti ostili e carichi di violenza. Se hai voglia di commentare così fallo altrove. Qui no. Ne voglio parlare discutere nel pieno rispetto di tutti gli ‘interlocutori’ anche quelli assenti. Grazie».
Il mito della “censura”. Collegata al tema della moderazione, la questione più interessante emersa dal confronto in rete è quindi stata sicuramente quella riguardante il significato del termine “censura”: tutto è infatti nato dall’intervento di un commentatore sostenente la tesi che «comunque anche Arianna fa una perpetua opera di selezione schizzinosa dei commenti. Cioè anche lei “censura” in maniera indiretta i commenti che hanno toni a lei non graditi e le persone che a lei risultano meno simpatiche. La trovo una cosa normalissima». Pronta la risposta della Ciccone che, citando il contributo di un altro utente, Mario Tedeschini Lalli, ha fatto un’importante distinzione tra rispetto di regole generali e puro arbitrio: «Nel complesso val la pena di stabilire alcune linee guida e fare un “policing” editoriale in base a queste linee guida (come ha fatto sopra Arianna). Non ci sono regole certe, ma non si può neanche immaginare che qualcunque (sic) definizione dei termini di un dibattito sia considerato una “censura”».
Fabio Grazzini