Ro-do- tà, Ro-do-tà. E’ questo il grido che si alzava da Piazza Montecitorio sabato scorso. Un grido, rimasto evidentemente inascoltato dal Palazzo, che ha preferito riconfermare come inquilino del Quirinale, nuovamente, Giorgio Napolitano. Ma non solo la corsa al Colle ha visto a confronto Stefano Rodotà e Giorgio Napolitano: anche nel 1992 i due si contesero la presidenza della Camera e per Rodotà fu un altro insuccesso.
La storia che si ripete. Anche all’epoca, l’ex presidente del Garante della privacy, era sostenuto da partiti che non erano il suo (infatti lui stava nel Pds, mentre quelli che lo appoggiavano erano Rifondazione Comunista,Verdi e Radicali). Morale della favola, il3 giugno 1992, Napolitano, definito all’epoca dai giornali “l’anziano leader”, fu eletto presidente della Camera dopo tre scrutini. Anche allora regnò una certa confusione all’interno del partito: in un primo momento i parlamentari appoggiarono Rodotà per poi scaricarlo nelle successive votazioni, grazie ai franchi tiratori che votarono scheda bianca abbandonandolo al sostegno di partiti minori.
Non la prese bene: per protestare contro questa scelta, si dimise dalla presidenza del Consiglio nazionale del Pds e dalla vicepresidenza della Camera.
Parole di fuoco. Le dimissioni furono accompagnate da una dura accusa dello sconfitto:« Il senso politico di quel che sta avvenendo è sotto gli occhi di tutti. Si tratta di una partita con un finale annunciato da molti giorni, e del quale ero ben consapevole. L’ho giocata per vedere se era possibile prendere sul serio le molte cose che si dicono sulla nuova politica. Penso di aver dato un piccolo contributo alla politica in pubblico alla quale sono da sempre affezionato. A qualcuno non è piaciuto […] Una piccola schiera di imbecilli ha ridotto tutto a una fame di poltrone che, se fosse esistita, molti erano pronti a saziare con ragguardevoli bocconi».
Le analogie. Nel 1992 Giorgio Napolitano fu scelto grazie alla sua propensione al dialogo con i socialisti di Craxi. Così come oggi, è stato scelto probabilmente anche per la capacità di dialogare con tutte le forze in campo, ingrediente base per la nascita di un governo di larghe intese.
Alessio Perigli