Dal premio al processo. Brutta avventura per il regista libanese Ziad Doueiri, di ritorno dalla Mostra del cinema di Venezia dove il suo film The insult ha vinto la Coppa Volpi per il miglior attore, assegnata al palestinese Kamel El Bashai. Rientrato a Beirut, Doueiri è stato arrestato alla dogana, interrogato per tre ore dai giudici della Corte militare della capitale libanese e poi rilasciato. L’accusa è di aver girato il suo precedente film, The attack, uscito nel 2013, nel Paese nemico numero uno del Libano: Israele. Un caso che si è riaperto dopo quattro anni, anche a causa della grande visibilità acquisita dal regista durante la kermesse veneziana.
Il film sotto accusa è la storia di un medico palestinese che scopre che sua moglie si è fatta esplodere, causando una strage. Pellicola girata in Israele e per questo osteggiata da alcuni integralisti musulmani libanesi, che hanno fatto pressioni sulle autorità giudiziarie perché prendessero provvedimenti.
Doueiri è di gran lunga il film-maker più celebre in patria, con una formazione negli Stati Uniti e un passato da assistente di Quentin Tarantino. «Speravo che il riconoscimento a un attore palestinese – ha spiegato – potesse rasserenare gli animi e stemperare il clima politico che si è creato nei miei confronti». Ma così non è stato: appena atterrato il regista, che vive a Parigi, si è visto sequestrare il suo doppio passaporto (libanese e francese), prima di essere condotto addirittura davanti a un tribunale non civile, ma militare.
“Collaborazionismo con Israele”, l’accusa iniziale. Ma i giudici hanno infine stabilito che Doueiri non aveva «alcuna intenzione criminale contro la causa palestinese». Prosciolto, dunque, con l’insolito giudizio di “colpevole non colpevole”.
Ai cittadini libanesi infatti è assolutamente vietato intrattenere rapporti con lo Stato ebraico, contro cui è formalmente in corso una guerra dal 1948. Un libanese colto a parlare con un cittadino israeliano rischia, secondo le normative vigenti, addirittura fino a tre anni di carcere.