Le temperature scendono a Roma, ma sale il numero dei morti tra i senzatetto. Sono dieci in appena due mesi i decessi registrati, di cui cinque solo nel 2019. L’ultimo corpo senza vita è stato trovato martedì 23 gennaio a piazza Mancini, nel quartiere Flaminio. La causa del decesso è stata probabilmente l’ipotermia.
E ora che il freddo si fa sempre più pungente, il fenomeno rischia di aggravarsi, soprattutto se si tiene conto del numero di persone senza dimora nella Capitale, che l’indagine Istat del 2014 attestava a 7.709 (pari al 15,2% del dato complessivo italiano). Una cifra che tuttavia non considera le situazioni di quanti vivono in insediamenti non idonei – immobili abbandonati, accampamenti informali, roulotte, bivacchi in strada –, inclusi invece nel volume di Luca Di Censi, “Uno studio sul «barbonismo domestico» nell’area metropolitana di Roma”, pubblicato nel 2016, che forniva un numero molto più alto dei senzatetto, attestandoli complessivamente tra i 14 e i 16mila individui.
IL PIANO DI INTERVENTO DEL COMUNE.
Per far fronte all’emergenza, dal 10 dicembre 2018 al 10 aprile 2019, l’Amministrazione comunale ha reso operativo il “piano freddo”, che mette a disposizione ogni giorno 486 posti per l’accoglienza, integrando il circuito ordinario che assicura quotidianamente 1.075 posti e ogni mese fornisce 1.442 pasti presso le strutture e 600 pasti a domicilio.
Sono previste inoltre misure aggiuntive. “Abbiamo varato il ‘piano gelo’ – spiegano fonti del Campidoglio – che mette a disposizione altri cento posti tra Stazione Tiburtina, Stazione Termini e casa di riposo in Via Ventura. È un meccanismo a fisarmonica, che si affianca a un sistema di accoglienza ordinario. Se ve ne fosse bisogno, apriremo anche le palestre”.
Molti dei clochard, però, non vogliono essere ospitati e scelgono di dormire fuori. Per trovare una soluzione, il Comune ha interpellato l’avvocatura di Stato. Tra le diverse ipotesi ventilate vi sarebbe anche quella del trattamento sanitario obbligatorio, da applicare a coloro che si rifiutano di dormire nelle strutture. Una soluzione, tuttavia, da molti non condivisa: “È una boutade. Sono affermazioni che a mio avviso non hanno un riscontro con la realtà — dice Emiliano Monteverde, assessore del I municipio —. Non è un modo di risolvere il problema. Per ottenere un tso bisogna prima fare un colloquio con uno psichiatra”.
Riprese di Giorgio Saracino
LA DIFFICOLTOSA RICERCA DI UN TETTO.
Se c’è chi si rifiuta di essere accolto, c’è anche chi non riesce a trovare posto. Mentre distribuisce con altri volontari pasti caldi davanti alla colonna traiana, Marzia Giglioli, presidente della Onlus “Ronda della Solidarietà”, chiede a uno dei clochard dove dormirà, sentendosi dire che rimarrà fuori. Compone allora il numero di emergenza, ma la risposta è che per la sera tutti i letti sono occupati, bisogna mettersi in lista di attesa e sperare per il giorno dopo.
“Il piano freddo del Comune non riesce ancora a raggiungere i grandi numeri di quel popolo estremamente fragile di clochard che vive nella nostra città, così come non può essere sufficiente l’impegno del volontariato, sebbene le nostre Unità di Strada battano ogni angolo dei nostri quartieri”, rimarca Debora Diodati, Presidente della Croce Rossa di Roma, sulla situazione attuale.
Punto di vista condiviso anche da Dino Impagliazzo, Presidente di RomAmor, associazione con quasi cento volontari che si occupa di assicurare la cena alle persone che vivono vicino alla Stazione Ostiense. “I posti che ha messo a disposizione il Comune sono molto pochi rispetto alle esigenze della gente che vive per strada. Quando metti a disposizione 200-300 posti non risolvi il problema, perché qui a Roma ci saranno almeno mille persone che hanno bisogno di un tetto”.
AUMENTANO I GIOVANI SENZA DIMORA.
Capitolo a parte i giovani che non hanno un alloggio. Alla Stazione Ostiense sono in molti a chiedere da mangiare e tra questi c’è Ali, trent’anni non ancora compiuti, proveniente dall’Afghanistan. Stasera “dormirà per strada, sotto qualche ponte”. Rispetto alla sua situazione non nasconde la frustrazione: “È la scelta di altri, non mia”. Trovare un pasto caldo o qualche coperta per lui non è un problema, ma ciò che gli manca davvero è un lavoro: “Per chi vive per strada come me è molto complicato. Moralmente sei giù e poi hai poca scelta, anche per vestirsi e presentarsi a un colloquio”.
L’ultimo rapporto della Caritas italiana sul tema della povertà giovanile – Futuro anteriore 2017 – conferma che, rispetto al passato, a essere maggiormente penalizzati dalla povertà economica e dall’esclusione sociale non sono più gli anziani o i pensionati, ma i giovani.
Da circa un lustro sono gli under 34 a vivere la situazione più critica. In Italia, oggi, un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta. Nel 2007 si trattava di appena un giovane su cinquanta. In soli dieci anni l’incidenza della povertà nella fascia di età 18-34 è passata dall’1,9 al 10,4%. Un quadro che delinea come la povertà tra i giovani sia sempre più diffusa, costringendoli spesso a vivere per strada.