Evitare una catastrofe globale, con un innalzamento della temperatura terrestre di due gradi, è ancora possibile. Ma il tempo stringe, e occorrono misure drastiche. Il Rapporto sul clima a firma del Comitato delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, l’Ipcc, intitolato “Riscaldamento globale a 1,5 gradi”, non lascia dubbi.
Presentato ieri nella città sudcoreana di Incheon, il frutto del lavoro degli scienziati dell’Onu parla chiaro: se i governi mondiali non metteranno in atto le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, tra soli 12 anni – a partire dal 2030 – si materializzerà uno scenario da incubo. Al punto che definirlo catastrofico sarebbe riduttivo. Acidificazione degli oceani, riduzione dell’ossigenazione delle acque, desertificazione dilagante, alluvioni, miseria, carestie, estinzione di specie, diffusione di malattie, innalzamento incontrollabile dei mari, con intere metropoli costiere sommerse.
Tutto dovuto, come spiega il Rapporto Onu, ai livelli sempre più alti di CO2 presente in atmosfera. Un gas serra inquinante che aumenta di giorno in giorno, prodotto dall’utilizzo dei combustibili fossili e delle centrali elettriche a carbone. Nonostante l’allarme delle Nazioni Unite, però, la risposta del più grande esportatore globale di carbone, l’Australia, è stata un secco “No, grazie”. Il primo ministro del governo conservatore di Canberra, Scott Morrison, si è schierato con la potente industria mineraria del coke, che rappresenta la prima voce dell’economia del paese. Nessuna limitazione delle estrazioni del combustibile fossile che sta distruggendo il pianeta dunque, e via libera alla costruzione di nuove centrali a carbone, ha annunciato il premier australiano.
“La priorità del governo è di assicurare che i prezzi dell’elettricità siano più bassi per le famiglie e per le aziende”, ha dichiarato Morrison. Una posizione condivisa da tutto il governo australiano, compatto sulla linea del carbone a tutti i costi. “Il rapporto dell’Ipcc intende informare i responsabili politici ma non è in alcun modo prescrittivo, dunque andiamo avanti così”, ha sottolineato la ministra dell’Ambiente, Melissa Price. A sostenere questa politica del governo conservatore sono soprattutto i grandi gruppi industriali e minerari, come il Queensland Resource Council, che respingono ogni prospettiva di chiusura del settore carbonifero.
“Continuare con il business-as-usual senza chiudere le centrali a carbone metterebbe a rischio i mezzi di sussistenza delle persone, determinerebbe un aumento della temperatura di due gradi con immediati effetti meteorologici estremi e devastanti e un innalzamento dei mari incontrollabile”, mette in guardia Johan Rockstrom, direttore designato dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico e presidente della Earth League (la Lega della terra).