Massimo Vitturi è il responsabile dell’area animali selvatici dell’associazione ambientalista LAV a Roma. Nei mesi scorsi l’associazione ha criticato le scelte di Comune e Regione in merito ai cinghiali. Abbiamo cercato di capire perché e cosa propone l’associazione per uscire dall’emergenza.
Vitturi ci spiega perché LAV Roma ha criticato la bozza del protocollo d’intesa tra Comune di Roma e Regione Lazio per la cattura dei cinghiali in città?
“La cattura si traduce sempre in un’uccisione. Siamo consapevoli che i cinghiali in città non stanno bene e nemmeno i cittadini con loro. C’è un problema di rapporto con questi animali che non è mai stato gestito. I cittadini non sono consapevoli di quello che combinano quando gli danno da mangiare. C’è il problema rifiuti. E infine un problema sociale. Io ho gli elementi concreti per dimostrare che la Polizia provinciale un anno e mezzo fa ha colto una troupe di una tv satellitare che cercava di fare uscire i cinghiali dall’area dell’Insugherata per mandarli verso le zone abitate e farci un servizio, dopo la morte dell’uomo sullo scooter (il 19 marzo 2017 n.d.r.)”.
Ma allora cosa fare degli ungulati negli spazi urbani?
“Una volta catturati i cinghiali si può scegliere la loro destinazione. Si può scegliere di prenderli e portarli in aree distanti dalla città, aree selvatiche dove possono fare la loro vita”.
Ma andiamo a monte, nelle riserve e nelle aree verdi. Per voi la caccia è sempre e comunque sbagliata?
“Noi vorremmo che fosse abolita, per ragioni etiche e pratiche. Dal 2005 gli ungulati possono essere cacciati 365 giorni all’anno e 24 ore al giorno: se guardiamo i danni e la proliferazione vediamo che non sono diminuiti, anzi sono aumentati. Quindi dico: evidentemente la caccia non è il sistema che consente la riduzione della popolazione. Tutti dovrebbero constatare che ha dimostrato la sua inefficacia. Gli zoologi, infatti, confermano che incrementa la presenza dei cinghiali, perché è chiaro che inducendo questa mortalità qualsiasi animale selvatico mette in atto quei meccanismi che consentono non solo la ripresa della popolazione, ma anche l’aumento di fronte ad una minaccia, perché cresce la fertilità”.
Allora cosa pensate delle ultime normative regionali sui selecontrollori e l’abbattimento selettivo nelle riserve? La consigliera regionale del PD Marietta Tidei ha parlato della caccia come “strumento di prevenzione”.
“Queste normative regionali non serviranno a nulla: ce lo dimostra la Regione Toscana. Nel 2015 venne fuori questa legge che doveva fare piazza pulita di tutti i cinghiali in tre anni, consentendo l’uccisione fino a 20 cinghiali al giorno. Dopo tre anni si è registrato un fallimento: di fatto i contadini e agricoltori sono arrabbiati come prima, perché a loro non è cambiato nulla. La Regione Lazio sta facendo la stessa cosa e non ci saranno risultati. Queste norme servono solo a far vedere che si sta facendo qualcosa, non risolvono nulla”.
L’assessore all’ambiente della Regione Lazio Enrica Onorati è un’ex imprenditrice agricola. Pensa che ci sia un conflitto di interessi nel chiedere aiuto agli operatori agricoli? Fra l’altro il consigliere regionale M5S Valerio Novelli ha proposto di aumentare le risorse per il risarcimento dei danni dei cinghiali alle colture…
“I cacciatori sono gli unici a guadagnarci, perché i cinghiali aumentano. La Onorati è parte in causa, ha il suo interesse, immagino, a tutelare i suoi colleghi agricoltori. Apre le maglie per consentire una caccia più estesa, ma non sarà questa la soluzione. Anche gli abbattimenti selettivi non servono a nulla. Tra due anni saremo da capo a dodici. L’unico modo per risolvere il problema nel medio-lungo periodo è escludere le armi”.
Cioè cosa bisognerebbe fare?
“Il contenimento nelle riserve non va fatto sparando. In caso di squilibrio ecologico si deve usare l’immunocontraccezione: è l’unico strumento che può dare risultati. Non è la sterilizzazione dopo la cattura, ma la somministrazione di un farmaco che rende infertile un cinghiale dai 3 ai 5 anni, tramite iniezione. Non bisogna lavorare sull’aumento della mortalità, ma sulla riduzione della fertilità. Le istituzioni devono impegnarsi per studiare questi sistemi di prevenzione, che ad oggi non ci sono”.