19 marzo 2017: un uomo di 49 anni si scontra con un cinghiale mentre è alla guida del suo scooter e muore per le ferite riportate alla testa. Non siamo vicino a un bosco di campagna, ma a via Ubaldo degli Ubaldi, quartiere semicentrale di Roma. Da allora a oggi la situazione nella Capitale è esplosa, con decine di segnalazioni di avvistamenti. Due le concentrazioni principali: a Roma sud il quadrante Spinaceto-Torrino-Tor De Cenci-Vallerano, vicino alla Riserva di Decima Malafede, a Roma nord tra la Cassia, Tomba di Nerone e Monte Mario, vicino alla Riserva dell’Insugherata.
In entrambe le zone si è scatenata la psicosi generale, con i cittadini che fino a qualche mese fa avevano paura ad uscire di casa. A Spinaceto, ad agosto, un uomo è stato caricato da un cinghiale mentre era con il cane e si è lussato una spalla. Nel frattempo i danni degli animali ai terreni agricoli si sono moltiplicati (secondo Coldiretti nel 2017 ammontano a 4 milioni di euro in tutto il Lazio).
Ora la situazione è leggermente migliorata, perché in inverno gli ungulati rimangono di più all’interno delle aree boschive, uscendo con meno frequenza. Ma la preoccupazione rimane. “Nel Parco dei caduti sul fronte russo – ci raccontano dal Comitato di quartiere Tomba di Nerone – ci sono otto cinghiali. Lì accanto ci sono un asilo nido e una scuola elementare. Abbiamo tutti paura, per noi e per i nostri figli, anche perché questi animali sono pieni di zecche”.
QUALI CINGHIALI A ROMA?
“A Roma sud – spiega lo zoologo Bruno Cignini a LumsaNews – gli ungulati sono principalmente maremmani e provengono originariamente dalla tenuta della presidenza della Repubblica di Castel Porziano. Da lì sono sconfinati a Decima Malafede. A Roma nord, invece, sono principalmente ibridi e provengono dal Parco di Veio e dalla Riserva della Marcigliana, da cui sono arrivati all’Insugherata”.
In assenza di misure efficaci di contenimento gli ungulati sono proliferati, diventando centinaia e si sono spostati indisturbati verso i quartieri abitati adiacenti, spinti dall’aumento dei rifiuti, spesso strabordanti dai cassonetti. Qualcuno, poi, gli ha anche dato da mangiare, costringendo l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) a intervenire per limitare i danni.
Una famiglia di cinghiali a Spinaceto lo scorso 7 giugno (Video Ansa)
IL CONTENIMENTO TARDIVO NELLE RISERVE E I “SELECONTROLLORI”
La gestione della fauna selvatica è competenza della Regione Lazio, che se ne occupa anche economicamente. RomaNatura, l’ente regionale che dirige le 15 riserve dell’area capitolina (da cui è escluso il Parco di Veio), ha da anni previsto dei piani di contenimento dei cinghiali a Decima Malafede e alla Marcigliana, ma non all’Insugherata, perché zona fortemente antropizzata. I piani dispongono la cattura in gabbia o lo sparo da posto fisso da parte dei guardaparchi e la successiva vendita dell’animale ad operatori agricoli.
Prevedono quindi 120-250 catture/abbattimenti all’anno. Ma a oggi non si è mai sparato e sono stati catturati solo pochi esemplari (nonostante i 276.411 euro spesi solo a Decima Malafede nel biennio 2014-2016), anche perché sono impiegati appena 34 guardaparchi in tutti i 16.000 ettari delle riserve.
Da RomaNatura apprendiamo che nell’ultimo anno le catture sono aumentate, anche se non sono ancora sufficienti: tra Decima e Marcigliana sono finiti in gabbia solo un centinaio di animali. A settembre, poi, la Regione Lazio ha approvato una nuova normativa per la trasformazione degli operatori agricoli in “selecontrollori”, cioè aiutanti dei guardaparchi nelle catture, tenuti a seguire un corso organizzato da RomaNatura e autorizzati, in estrema ratio, allo sparo. “In cambio dell’aiuto i ‘selecontrollori’ potranno tenersi l’animale gratuitamente e utilizzarne le carni con l’ok della Asl competente” racconta a LumsaNews Carlo Patacconi, operatore agricolo e presidente di Agricoltura Nuova, che ha partecipato all’apposito bando.
IL PROTOCOLLO DI CATTURA FANTASMA E LE CRITICHE DEGLI AMBIENTALISTI
Resta irrisolto il problema dei cinghiali fuoriusciti dai parchi. Per intervenire su quelli in città la Regione Lazio necessita di un protocollo d’intesa con il Campidoglio e la Città Metropolitana, la cui polizia deve catturarli. Pronto già a luglio, dopo uno scaricabarile di mesi, il protocollo sembrava completato con la riunione dello scorso settembre nella Prefettura di Roma, che si è occupata del coordinamento.
Questo documento formale ripartisce le competenze: censimento “scientifico” degli animali fatto dalla Città Metropolitana, progettazione degli interventi di cattura (tramite telenarcosi e spostamento in gabbia, con la collaborazione esterna della Protezione civile ed eventualmente dei Carabinieri forestali) e indicazione regionale di aziende faunistico-venatorie (cioè adibite alla caccia, vietata in Italia sia nei parchi che nelle aree urbane) in cui trasferire gli ungulati. Peccato che gli uffici competenti della Regione si siano accorti che quest’ultimo passaggio ha dei problemi di natura normativa. Quindi lo stallo si è prolungato.
Ora, ci fanno sapere dal Comune di Roma, vanno risolte le problematiche della bozza tramite le Avvocature, per poi verificare l’intesa a livello politico. La sindaca Virginia Raggi e il governatore Nicola Zingaretti ancora non hanno firmato il documento e prima di questo passaggio non si può far nulla. Non ci è stata fornita una previsione esatta dei tempi per sbloccare la procedura: le forze dell’ordine ancora non hanno ricevuto comunicazioni ufficiali.
L’associazione ambientalista LAV è estremamente critica rispetto alle scelte di Comune e Regione. Secondo il responsabile dell’area animali selvatici, Massimo Vitturi “catturare per poi sparare non è solo sbagliato, è anche inutile” perché, spiega, “così si attivano quei meccanismi di specie che aumentano la fertilità”. LAV è convinta che l’unico strumento di contenimento realmente efficace sia l’immunocontraccezione, cioè la somministrazione tramite iniezione di un farmaco che rende il cinghiale infertile dai 3 ai 5 anni. Al momento, però, questi sistemi non sono nemmeno studiati dalle regioni italiane.
NEL FRATTEMPO C’È CHI PRENDE E SPARA
Mentre le istituzioni competenti non intervengono, c’è chi prende e spara, tra le case e nelle riserve.
“A ottobre, nel parco di Velusia, abbiamo trovato un cinghiale morto – ci dicono dal Comitato Tomba di Nerone – era appena iniziata la stagione di caccia. Da quel momento in poi abbiamo sentito vari colpi d’arma da fuoco”. Racconti simili erano arrivati nei mesi scorsi anche da Spinaceto.
“Nel parco di Decima entrano spesso i bracconieri – ci spiegano invece dal ‘Comitato Amici della Riserva di Decima Malafede’ – vengono a uccidere i cinghiali e i pochi guardaparchi non riescono a intervenire. A volte dobbiamo presidiare noi alcune aree”.
Certo, è meglio evitare gli allarmismi, perché gli attacchi degli ungulati all’essere umano sono rari. Ma la situazione non va sottovalutata, soprattutto perché da aprile, dopo la classica cucciolata, le famiglie di cinghiali torneranno ancor più numerose tra le strade della Capitale. A meno che, finalmente, le istituzioni non saranno intervenute.