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Cervo zombie, la malattia che spaventa l’America

di Beatrice D'Ascenzi05 Marzo 2024
05 Marzo 2024

Foto by Pexels

Presenze inquietanti si aggirano per il parco nazionale di Yellowstone, nel Nord degli Stati Uniti. Creature confuse, deperite, dallo sguardo perso, che rischiano di mettere in pericolo gli equilibri della riserva naturale più antica del mondo. Non sono fantasmi o qualche wendigo della mitologia nativa americana. Sono i cervi zombie.

Lo Stato del Wyoming, negli Stati Uniti, dove si trova il parco di Yellowstone

Il nome cela la condizione degli animali colpiti dal deperimento cronico del cervo (Cwd), una patologia neurologica degenerativa che, come spiegano dal ministero della Salute, è endemica in Nord America. Nel resto del mondo, ad esempio in Corea del Sud, sono stati identificati casi soltanto in animali importati dalle aree geografiche in cui la patologia è notoriamente diffusa.

La malattia, che finora ha portato alla morte di 800 esemplari all’interno del parco del Wyoming, è causata dal prione, una molecola “mutata” che acquisisce proprietà tossiche ed è in grado di infettare le altre proteine, rendendole nocive. Come spiega Fabio Moda, ricercatore all’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, “gli animali si contagiano attraverso l’urina, il sangue o la saliva e il prione malato può rimanere nell’ambiente per lungo tempo senza perdere le sue proprietà infettive”. Infatti i cervi, leccando le rocce alla ricerca di sale o entrando in contatto con i fluidi corporei di altri esemplari, contraggono la malattia e con essa una condanna a morte. Attualmente infatti non esistono né cure né vaccini per questi animali.

Il timore del salto di specie

Il timore maggiore, soprattutto nell’era post Covid, è quello di uno spillover. Un’evoluzione pandemica. Un salto di specie artificialmente provocato in laboratorio esiste e il contagio su topi transgenici e macachi è effettivamente avvenuto. Ma, come sottolinea Moda, “sono animali infettati sperimentalmente, a cui si danno artificialmente da mangiare alte dosi di questo prione, quindi sono dei sistemi un po’ forzati”. Per quanto riguarda l’uomo, invece, il timore è che entri in contatto con il morbo cibandosi di carne infetta, un po’ come avvenne per l’encefalopatia spongiforme bovina, comunemente conosciuta come morbo della mucca pazza (altra malattia da prioni diffusasi sul finire degli anni ‘90).

Per questo motivo, spiega ancora Moda, “vengono adottate efficaci misure di sorveglianza e di controllo che consentono di prevenire la diffusione e garantiscono la totale sicurezza alimentare”. Gli americani in particolare, sono preoccupati che i cacciatori possano venire in contatto con la Cwd andando a caccia di cervi. Per prevenire questo rischio è stata chiesta l’introduzione di “pratiche di caccia responsabili” e l’aumento dei controlli sugli esemplari morti, per evitare che i cacciatori li portino a casa e li mangino.
All’epoca della malattia spongiforme bovina, una percentuale non trascurabile di persone si ammalò di una patologia neurologica molto simile al morbo di Creutzfeldt-Jakob, dopo aver consumato carne appartenente a mucche colpite dalla sindrome. Alessandro Bertoli, che lavora presso l’Istituto di neuroscienze del Cnr, descrivendo le conseguenze delle malattie da prioni sull’essere umano sottolinea che “i sintomi sono neurodegenerativi: perdita delle capacità cognitive, perdita di capacità motorie, in alcuni casi comparsa di sintomi psichiatrici e psicotici”. E definisce il decorso “devastante”.

I casi in Europa e la prevenzione

Nelle foreste europee i cervi zombie si aggirano già da tempo. La malattia infatti è stata diagnosticata per la prima volta nel 2016, in un esemplare di renna norvegese. Tuttavia, secondo quanto riferisce il Ministero della Salute, i casi registrati nel vecchio continente sono limitati e circoscritti a una determinata area geografica: da allora si sono ammalati 21 renne in due diversi focolai in Norvegia, tre cervi – sempre in Norvegia – e 19 alci, di cui 12 in Norvegia, quattro in Svezia e tre in Finlandia.

Gli Stati europei in cui sono stati registrati casi di Cwd

E in Italia? Da noi non è stata ancora registrata alcuna positività. Tuttavia, considerata la presenza nel nostro Paese di numerose specie di cervidi (tra cui soprattutto cervi, caprioli e daini), da diversi anni è in corso una campagna annuale di monitoraggio sugli animali deceduti avviata dal ministero della Salute che si concentra sulle categorie in cui è più probabile riscontrare la Cwd. Leonardo Gentile, responsabile dell’ufficio veterinario del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, spiega che “su queste carcasse vengono effettuati accertamenti di laboratorio mediante tecniche appropriate, soprattutto la Pcr, ossia la ricerca del genoma virale. In questo modo veniamo a sapere se ci sono eventualmente degli animali portatori e che non presentavano in vita sintomi”. E dal ministero della Salute ribadiscono: “A oggi non è dimostrata la trasmissibilità all’uomo”.

I fan del videogioco The Last of Us potrebbero quindi rimanere delusi: l’apocalisse zombie probabilmente non passerà dai cervi. Almeno si spera.

 

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