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Cento anni fa il manifesto
del Partito Popolare
fondato da don Sturzo

Venne sciolto dal fascismo nel 1926

il presbitero costretto all'esilio

di Serena Console18 Gennaio 2019
18 Gennaio 2019

“A tutti gli uomini liberi e forti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”, recita così l’inizio de “l’Appello ai liberi e forti”, il manifesto redatto dalla commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano il 18 gennaio 1919, al momento della fondazione del partito di Don Luigi Sturzo.

A pochi mesi dalla fine della Grande Guerra e agli albori del fascismo, il sacerdote infatti sentì la necessità di porre le basi di un protagonismo cattolico nella vita politica, dopo l’isolamento seguito all’unità d’Italia da parte del Vaticano.

Il Partito Popolare fu da subito incisivo nella vita politica italiana, raccogliendo il 20,5% alle prime elezioni in cui si presentò come forza autonoma.  La leadership di Don Sturzo nel partito non durò a lungo: il 10 luglio 1923, il sacerdote lasciò la guida del Partito Popolare alla vigilia della discussione parlamentare sulla legge elettorale Acerbo, fortemente voluta dal governo fascista e osteggiata dall’opposizione. Nel 1926 fu costretto allo scioglimento in seguito alla soppressione delle libertà politiche imposta dal governo Mussolini.

La volontà di contrastare il fascismo di Sturzo non era in sintonia con i voleri delle gerarchie vaticane, che dopo la firma dei patti lateranensi guardavano con occhi diversi alle autorità statali. Luigi Sturzo decise di lasciare gli incarichi nel partito e si rifugiò dal 1924 al 1940 prima a Londra, poi a Parigi ed infine a New York.

Come scrive Ernesto Galli della Loggia oggi sul Corriere della Sera, “l’esperienza del cattolicesimo politico italiano e del suo partito è stata democratico-liberale”. L’editorialista lamenta poi la mancanza delle tematiche del partito popolare nella politica odierna, “il venir meno di tale collocazione centrista, in seguito all’avvento della cosiddetta seconda Repubblica e del suo tendenziale bipolarismo”.

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