Yasmina ha tre anni e ogni mattina, quando va all’asilo, porta con sé dentro la cartellina rosa tutta la sua storia e le sue memorie, pronta a condividerle con i compagni di classe.
Questo è il metodo Celio Azzurro per l’integrazione col quale, rifuggendo dagli stereotipi e dai preconcetti, si mette al centro la persona nella sua unicità.
Dal 1989 questa scuola romana, immersa in un’oasi di verde sul colle Celio, a due passi dal Colosseo, accoglie figli di immigrati ma anche bambini italiani con famiglie in difficoltà economiche. In ventitré anni di attività Celio Azzurro ha accompagnato con impegno e costanza i cambiamenti avvenuti nei flussi migratori in entrata, tra numerose difficoltà iniziali; un successo costruito, con fatica, anno dopo anno.
I primi tempi sono stati i più duri; quando le famiglie, per lo più di origine africana, guardavano alla scuola come un rifugio provvisorio per i loro bimbi e non come un luogo dove radicarsi e imparare. A soli sei mesi dalla sua creazione, l’edificio è stato anche distrutto da un incendio doloso ma è stato interamente ricostruito grazie all’aiuto di Don Luigi di Liegro, fondatore della Caritas Diocesana di Roma. E’ stata poi la volta dei flussi migratori dall’est Europa (soprattutto Polonia) e la maggior vicinanza geografica ha aiutato a rodare il meccanismo e renderlo perfettamente funzionante. Con gli anni duemila e l’aumento di bambini immigrati di seconda generazione (nati in Italia da genitori stranieri) il progetto pedagogico è decollato definitivamente diventando un’eccellenza e un punto di riferimento per le scuole dell’infanzia. Un modello imitato diffusamente nella Capitale, luogo d’incontro di culture e tradizioni anche profondamente differenti tra loro; quel meltin pot di cui tanto si parla e che, al Celio Azzurro, è ormai una realtà consolidata.
Oggi Celio Azzurro, che nel 1996 vinse il primo bando del Comune di Roma per i centri interculturali, si sostenta con i finanziamenti del Campidoglio e con le rette degli alunni, pagate in base alle possibilità economiche di ciascuno. Ma, nonostante le difficoltà generate dalla crisi economica, la voglia e l’entusiasmo è quello dei primi giorni. Una lunga storia fatta di sacrificio e tanto coraggio.
“All’inizio avevamo due possibilità – racconta Massimo Guidotti, fondatore e direttore di Celio Azzurro, formatosi al Centro Psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Daniele Novara (vero e proprio pioniere e faro illuminante del settore) – potevamo lavorare o sul piatto tipico o sulla festa tradizionale come avviene in quasi tutte le scuole che fanno intercultura, oppure rovesciare la prospettiva, andando dal particolare al generale”.
Ruolo chiave in questo senso è quello svolto dal genitore, con cui gli insegnanti stringono “un’alleanza” affinché l’educazione non resti un banale raffronto tra culture ma sia l’occasione per un reciproco scambio tra persone, ognuna con la sua storia e il suo passato: solo così è possibile giungere ad una piena e profonda integrazione.
Al Celio Azzurro i genitori non restano fuori dal cancello della scuola ma diventano parte integrante del progetto formativo: “Sono i genitori i veri mediatori culturali – sottolinea Guidotti – perché devono essere disposti a mettersi in gioco in prima persona entrando in un piccolo meccanismo di regressione”.
In una dimensione narrativa qualsiasi esperienza di vita, qui al Celio Azzurro, diventa favola; pronta per essere offerta su un piano facile e comprensibile alla mente di un bambino.
Ogni settimana si affronta, personalizzandolo, un tema diverso: l’avventura, la cucina o i festeggiamenti per i propri compleanni. Rifuggendo stereotipi e luoghi comuni. Ad esempio Sadiki, quattro anni, adora la cotoletta alla milanese che la mamma gli cucina spesso: è quello il suo piatto preferito e non ciò che gli altri si aspettano che un bambino eritreo mangi.
Con tale filosofia Celio Azzurro ora è un metodo riconosciuto e riconoscibile: non esistono classi ma piccoli gruppi divisi per fasce di età. L’asilo accoglie ogni anno 50 bambini di circa 30 nazionalità; dal ’90 ad oggi circa mille bambini sono passati per le sue aule.
Un orario flessibile che si prolunga fino al pomeriggio per venire incontro alle esigenze dei genitori; spazi verdi aperti anche a bambini di altre scuole; durante il periodo estivo campeggi e vacanze al mare: al Celio Azzurro non ci si ferma mai, anche quando di solito le altre scuole rimangono chiuse. Grazie ad un programma didattico che coinvolge i bambini tutto l’anno, rafforzando il legame con gli educatori, questa scuola entra nella tua vita talmente tanto da non poterne più fare a meno.
E’ quanto accaduto a Fayo, un tempo alunna ed ora insegnante: “Sono arrivata dall’Etiopia con la mia famiglia nel 1990 – ci racconta lei stessa – e sono stata una delle prime iscritte a Celio Azzurro. Ho continuato poi a frequentare il centro estivo della scuola anche quando stavo alle elementari e ho deciso di continuare a lavorare in questa struttura, affascinata da questo tipo di insegnamento non convenzionale”.
Per ricreare un’atmosfera informale e familiare tutti gli operatori sono impegnati a 360 gradi nell’organizzazione delle giornate e pensano a tutto, non esistono collaboratori scolastici e cuochi della mensa.
Ma sono le 17.30, arrivano i primi genitori a prendere i bambini, ancora intenti in colorati girotondi nell’ampio giardino della scuola. L’atmosfera è tranquilla, serena, si percepisce nell’aria la positività di uno spirito che dovrebbe animare tutte le scuole, anche quelle che si definiscono “normali”; molte volte, pur appartenendo tutti alla stessa etnia, la vera integrazione rimane solo una bella parola ma vuota di significato. Per questo quella di Celio Azzurro può definirsi davvero una missione compiuta.
Marcello Gelardini