Non è ancora la proclamazione dell’indipendenza, ma da oggi Barcellona e Madrid sono un po’ più lontane: il cartello indipendentista “Junts pel Sì” ha infatti conquistato il 39,6% dei voti e 62 seggi su 135 nel parlamentino della Generalitat de Catalunya. Con l’aggiunta dei 10 seggi dell’altra formazione indipendentista “Candidatura d’Unitat Popular” (Cup, 8,2% dei voti) i favorevoli alla «disconnessione» della Catalogna dalla Spagna avranno quindi la maggioranza assoluta dei seggi.
Affluenza alta, ma non basta. L’unica nota stonata, in una giornata trionfale per il premier catalano Artur Mas, è stata il mancato raggiungimento anche della maggioranza assoluta dei voti (in totale gli indipendentisti si sono fermati al 47,8%), compensata però da un’affluenza record a quelle che la tutta la stampa aveva definito «le elezioni più importanti dalla fine del franchismo»: oltre il 77%, con una crescita del 9% rispetto alle elezioni del 2012. Non è detto che Cup accetti di sostenere un terzo governo regionale guidato da Mas – si ipotizza una sua sostituzione con il capolista Raul Romeva – ma in ogni caso il leader indipendentista ha già pronto un cronoprogramma per giungere a una Catalogna indipendente «entro il 2017», e si prepara a guidare in prima persona le trattative con Madrid, a cui eventualmente dovrebbero seguire quelle, tutt’altro che facili, con l’Unione europea, la Nato e l’Onu.
Il fronte anti-indipendentista. Nella capitale spagnola la Casa reale prudentemente tace, ma i politici e i media nazionali enfatizzano molto il mancato raggiungimento del 50%+1 dei voti da parte degli indipendentisti, e non è escluso che ciò porti, nel medio periodo, ad un clamoroso rovesciamento delle parti, con Madrid che potrebbe rispondere ad un eventuale voto indipendentista del parlamentino catalano “appellandosi al popolo”: convocando quel referendum che ha invece negato in tutte le sedi – dal governo al Tribunale costituzionale – nel 2014.
In ogni caso la sconfitta in terra catalana del premier spagnolo Mariano Rajoy, strenuo avversario di ogni ipotesi di secessione, è nettissima: il suo “Partido Popular” è arrivato addirittura quinto, con appena l’8,5% dei voti e 11 seggi. Gli stessi ottenuti (con l’8,9%) dal cartello della sinistra radicale “Catalunya Sì que es Pot”, che riunisce anche gli esponenti catalani di “Podemos”. Il secondo partito di Catalogna – con il 17,9% dei voti e 25 seggi – è invece il movimento moderato dei “Ciutadans”: la versione catalana di “Ciudadanos”, che alle elezioni generali di dicembre punta a conquistare la leadership del centrodestra. Terzo classificato il Partito socialista di Catalunya (Psc), con il 12,7% dei voti e 16 seggi.
Il voto di dicembre. Il tema della possibile indipendenza catalana entra così a pieno titolo al centro della campagna elettorale di dicembre – si voterà il 13 oppure il 20 – in cui Rajoy si gioca tutto e per questo sta cavalcando da settimane il tema dell’unità nazionale. Fino a ieri i sondaggi lo davano dietro ai socialisti di Pedro Sanchez, che però avrebbe bisogno di alleati per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi e conquistare il governo. Di fronte all’eventuale rifiuto di “Podemos”, Sanchez potrebbe quindi rivolgersi alle forze indipendentiste catalane – una parte delle quali già appoggiò i governi socialisti di Zapatero negli anni Duemila – e proporre in cambio un’autonomia quasi completa per Barcellona, ad eccezione della politica estera e di difesa.
Alessandro Testa