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Caso Yara, svolta dai Ris: nuove prove che inchiodano Massimo Bossetti

di Maria Lucia Panucci17 Febbraio 2015
17 Febbraio 2015

yara_gambirasio_01Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra rapita lo scorso 26 novembre 2010, sarebbe salita sul furgone di Massimo Bossetti poco prima di essere uccisa. Quegli esili fili di stoffa trovati sulla parte esterna dei leggings della ragazza apparterrebbero proprio al tessuto delle poltroncine del camioncino di Bossetti. A dirlo sono gli esami effettuati in laboratorio dai carabinieri del Ris. Il Dna trovato sugli slip della piccola ginnasta non sarebbe quindi l’unica “prova regina” a carico di Bossetti: ora anche tracce non organiche confermerebbero che il muratore di Mapello sarebbe, secondo la pubblica accusa, l’assassino di Yara, il cui corpo è stato ritrovato tre mesi dopo la scomparsa, a Chignolo d’Isola.

L’ennesimo colpo di scena che arriva a pochi giorni dalla chiusura delle indagini. Certo restano alcuni punti di domanda: Come ha fatto Bossetti a convincere la giovane a salire a bordo? L’ha costretta con la violenza? L’ha minacciata? Le ha offerto un passaggio? A questi interrogativi nessuno ha delle risposte al momento.

Appena pochi giorni fa la perizia sul computer di Bossetti ha rivelato la sua ossessione per le minorenni. “Tredicenni”, “ragazzine”, “vergini”, “rosse”. Queste sono alcune delle parole che ricorrevano più spesso nelle ricerche fatte dal presunto assassino, in carcere dal 16 giugno scorso, come unico indagato per la morte di Yara. Navigazioni che spesso venivano fatte con sistemi che cercavano di nascondere o cancellare le tracce e che invece hanno evidenziato in chi usava il computer un particolare interesse sessuale per le minorenni, proprio come Yara. Nonostante le numerose prove che lo inchioderebbero alle sue responsabilità Bossetti continua a proclamare la sua innocenza, la sua totale estraneità all’omicidio. I suoi legali hanno fatto già domanda di scarcerazione, richiesta sulla quale la Cassazione deciderà il prossimo 25 febbraio.

Nel frattempo su Mohamed Fikri,arrestato a dicembre del 2010 e poi rilasciato perché risultato estraneo al delitto, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello: il marocchino sarà ripagato dallo Stato per essere stato ingiustamente indicato come il killer di Yara Gambirasio: un’ accusa rivelatasi del tutto infondata per via di una intercettazione tradotta male. L’operaio riceverà un indennizzo di dieci mila euro: 1.200 euro per i tre giorni di custodia cautelare, 8 mila per i danni morali e 580 euro per le spese sostenute in carcere. Secondo la Cassazione, per i danni subiti a causa del suo coinvolgimento nella vicenda, come la perdita del posto di lavoro, Fikri potrà intentare allo Stato italiano un’altra causa, diversa da quella relativa all’ingiusta detenzione.

Maria Lucia Panucci

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