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Caso Shalabayeva, la figlia Madina denuncia Viminale e Questura con l’accusa di sequestro e ricettazione

di Francesca Polacco26 Settembre 2013
26 Settembre 2013

Madina, the daughter of dissident Kazakh oligarch Mukhtar Ablyazov, stands with her husband Elias outside the Aix-en-Provence courthouseDi nuovo alla ribalta il caso Shalabayeva. Sequestro aggravato di persona e ricettazione sono i reati per cui Madina Ablyazova, la figlia maggiore di Alma Shalabayeva e del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov detenuto in Francia, ha denunciato alcuni funzionari del ministero degli Interni e della Questura di Roma, insieme a tre diplomatici del Kazakistan, tra cui l’ambasciatore a Roma Adrian Yelemessov. 
La vicenda. Alma Shalabayeva e la figlioletta di sei anni Alua il 31 maggio scorso, in tempi record e con un grande dispiegamento di forze (si parla di una cinquantina di uomini della digos), furono messe su un aereo affittato in Austria dall’ambasciata kazaka ed espulse dall’Italia per essere portate ad Astana grazie ad un’operazione congiunta del Viminale, della Questura e di tre rappresentanti diplomatici del Kazakistan. Il governo italiano ammise di non essere a conoscenza del caso e di non aver ricevuto la domanda d’asilo da parte della donna e, a cadere, fu la testa di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
La denuncia. «Nel provvedimento – ha spiegato l’avvocato di Madina, Astolfo Di Amato – accusiamo l’ambasciatore Kazako a Roma, il suo consigliere per gli affari politici Nurlan Khassen e l’addetto agli affari consolari, Yerzhan Yessirkepov» perché hanno “cooperato” alle estradizioni insieme ai funzionari kazaki. I legali chiedono, inoltre, ai magistrati di individuare i funzionari del Viminale che «abbiano tenuto comportamenti contro la legge nella vicenda dell’espulsione della Shalabayeva e di sua figlia perché – continuano – siamo convinti che siano stati commessi abusi e omissioni gravi». Questa convinzione nasce da quel cablo in cui l’Interpol di Astana chiedeva di “deportare” Alma, che pur non era mai stata oggetto di un mandato di cattura. A questo si aggiunge il calcolo del tempo impiegato per espellere la moglie del dissidente, dopo il blitz della polizia nella villa di Casalpalocco: appena 66 ore e 24 ore dal momento in cui è stato firmato il provvedimento della prefettura.
«È una vicenda eccezionale anche solo per questi elementi», hanno dichiarato i legali della famiglia Shalabayeva. Ma vi è un altro elemento sospetto che riguarda la foto della piccola Alua: l’immagine sul documento proveniente dal Kazakistan era uguale a quella nel passaporto della Repubblica del Centro Africa, della quale i funzionari centroasiatici non avrebbero dovuto essere in possesso.
«Questo significa due cose – ha sottolineato Di Amato  –  o è stata passata la copia digitale che viene fatta dei passaporti al momento in cui c’è il passaggio alla frontiera, oppure quell’immagine è frutto dell’attività compiuta dagli investigatori privati che hanno controllato casa della signora Alma per giorni».
Madina non si arrende: «Hanno organizzato l’espulsione illegale di mia madre. Come può l’Italia permettere loro di continuare a godere dell’immunità diplomatica dopo che gli stessi hanno abusato pesantemente dei loro privilegi?». Di Amato ha poi aggiunto che «i diplomatici kazaki possono essere perseguiti. C’è il precedente del caso Abu Omar» in cui la Cassazione ha stabilito che l’immunità non può essere opposta in presenza di violazione dei diritti umanitari.
Intanto il procuratore capo Giuseppe Pignatone esaminerà la denuncia per valutare se inserirla nel fascicolo già aperto a carico di ignoti o se aprirne un altro.

 Francesca Polacco

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