LONDRA – “Difendere gli scienziati di tutto il mondo di fronte alle crescenti sfide, in un momento in cui questi sono minacciati come mai prima d’ora, ma allo stesso tempo non sono mai stati così necessari per l’umanità in generale”. È questa la dichiarazione pubblicata sul sito della Royal Society dopo la lunga riunione tenutasi lunedì 3 marzo presso la sede nella capitale inglese. Riunione che aveva fra i suoi temi l’eventuale espulsione di Elon Musk, chiesta con forza da più di 1400 ricercatori attraverso una petizione lanciata lo scorso 13 febbraio sulla rivista di settore “Nature” e promossa da Stephen Curry, professore di biologia all’Imperial College di Londra.
Il motivo per cui è stata richiesta l’espulsione del miliardario, secondo i firmatari della petizione, starebbe nel fatto che il patron di Tesla avrebbe più volte violato i principi previsti dal codice di comportamento dei membri della più antica e prestigiosa società scientifica del mondo. Nello specifico, Musk avrebbe promosso e fatto girare informazioni scientificamente infondate su temi come la pandemia di Covid, i vaccini e la cura di patologie varie. In altre parole, avrebbe diffuso una serie di “fake news” attraverso il social X di sua proprietà.

Ieri lo stesso Curry aveva sostenuto in una lettera aperta che “non è una questione di punti di vista o di voler imporre un qualunque conformismo politico”, bensì della convinzione “di molti secondo cui Elon Musk ha mostrato di non voler rispettare l’evidenza scientifica” su diversi argomenti. Tanto da essere stato “denunciato come uno dei più attivi propalatori di disinformazione” sui social: cosa “incompatibile – insiste l’accademico – con il codice di condotta” fissato dall’istituzione per i suoi membri – britannici o stranieri che siano – e con le regole della comunità scientifica.
Musk, ammesso nel 2018 per il contributo dato allo sviluppo di nuove tecnologie usate per la realizzazione di razzi spaziali, auto elettriche e intelligenza artificiale, non è mai citato nel comunicato. Ma la Society ha fatto sapere che durante il meeting, cui hanno partecipato oltre 150 membri, “è stata espressa preoccupazione, in particolare, per la sorte dei colleghi statunitensi che rischiano di perdere il posto di lavoro a causa della minaccia di tagli radicali ai finanziamenti per la ricerca”. Sempre nella dichiarazione si sottolinea la necessità di “ulteriori azioni” per “contrastare la disinformazione e gli attacchi ideologici alla scienza”.