A distanza di 37 anni potrebbero finalmente chiarirsi alcuni punti oscuri del sequestro Moro. E’ iniziata infatti questa mattina a palazzo San Macuto l’audizione di fonte alla commissione parlamentare di inchiesta di monsignor Antonio Mennini, attuale nunzio apostolico a Londra ma considerato il possibile “confessore segreto” che nella primavera del 1978 sarebbe andato più volte a trovare il presidente della democrazia cristiana durante i 55 giorni della sua prigionia, che si concluse il 9 maggio con la sua uccisione. La testimonianza dell’alto prelato, che gode di immunità diplomatica, è stata voluta da papa Francesco, che gli ha anche chiesto di rinunciare al privilegio di poter essere ascoltato presso la propria sede e di venire appositamente a Roma.
Il canale di comunicazione? Nel 1978 don Mennini, allora 31enne, era un giovane viceparroco nella parrocchia di Santa Chiara, in piazza dei Giochi Delfici, a pochi passi dall’abitazione di Aldo Moro. Per questo si sospetta da tempo che potrebbe essere stato lui il canale attraverso cui lo statista democristiano recapitava le sue lettere e i suoi drammatici memoriali con accuse e richieste ai notabili del suo stesso partito. Dopo la tragica conclusione del sequestro, don Mennini ricevette da papa Paolo VI – amico personale di Moro fin dal dopoguerra, che tentò di aprire una trattativa riservata e rivolse anche un accorato appello pubblico ai suoi rapitori – il primo di una lunga serie di incarichi diplomatici, che finora lo hanno sempre tenuto lontano dall’Italia. Fino ad oggi il nunzio non ha mai chiarito fino in fondo di fronte alla magistratura e alle varie commissioni di inchiesta il ruolo che svolse a favore di Moro, né ha mai rilasciato dichiarazioni alla stampa.
Le rivelazioni di Cossiga. Il nome di Mennini, figlio dell’allora vice di monsignor Marcinkus presso l’Istituto per le Opere di Religione (Ior), era stato fatto nel 2010, prima di morire, dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga – democristiano appartenente alla stessa corrente di Moro ma più filoatlantico – che durante il sequestro era ministro dell’Interno: «don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse – disse – e noi non lo scoprimmo: ci scappò don Mennini».
Rivelazioni secretate. E’ comunque improbabile che questa sera potremo conoscere nuovi particolari sul più oscuro dei tanti misteri della storia della Repubblica. E’ quasi certo infatti che la commissione parlamentare di inchiesta, presieduta dal pd Beppe Fioroni – anche lui ex democristiano di sinistra – secreterà le eventuali rivelazioni di don Mennini, che potrebbero far luce sui diversi punti-chiave mai chiariti di quei 55 giorni: dalla possibile partecipazione di uomini dei servizi segreti nel rapimento del padre del Centrosinistra e poi del “compromesso storico”, fino ai depistaggi e alle mancate perquisizioni dei diversi covi dove Moro fu tenuto prigioniero.
La «solidarietà nazionale». Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito da un commando terrorista delle Brigate Rosse mentre si recava alla Camera per votare la fiducia al quarto governo Andreotti, un monocolore dc con l’appoggio esterno di tutto l’«arco costituzionale», compresi per la prima – e unica – volta i comunisti di Enrico Berlinguer, che secondo alcune ricostruzioni sarebbe stato in realtà intenzionato a votare contro. Dopo il rapimento Moro e l’uccisione dei cinque agenti di scorta, il Pci si dichiarò fermamente contrario a ogni trattativa con i terroristi “rossi” e votò anch’esso la fiducia a quello che sarebbe passato alla storia come il governo «della solidarietà nazionale». Alle successive elezioni del 1979 il Pci subì una bruciante sconfitta, che segnò l’inizio del suo irreversibile declino e la fine di ogni velleità di governo.
Alessandro Testa