Ha parlato a lungo ma non ha convinto nessuno monsignor Antonio Mennini, indicato come il “confessore segreto” di Aldo Moro nel carcere delle Brigate Rosse. Ieri mattina, di fronte alla commissione parlamentare di inchiesta ha negato di aver mai visitato lo statista durante la prigionia, ma ha anche precisato che «di una confessione non si può dire nulla, nemmeno se è avvenuta».
I ricordi di Cossiga e del card. Capovilla. Smentita dunque la ricostruzione dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ministro dell’Interno durante i drammatici 55 giorni del sequestro, che nel 2010, prima di morire aveva indicato don Mennini come colui che andò a confortare Moro e a portargli l’estrema unzione alla vigilia della sua esecuzione. Una circostanza avallata anche dalla testimonianza del cardinale Loris Capovilla, oggi centenario e già segretario particolare di papa Giovanni XXIII, che aveva riferito di un suo incontro del 1978 con don Mennini. «Purtroppo – ha risposto l’attuale nunzio apostolico nel Regno Unito – non ne ho avuto la possibilità, ma nella coscienza dei miei doveri sacerdotali ne sarei stato molto contento e mi sarei offerto di prendere il suo posto, o almeno avrei cercato di memorizzare il percorso».
“Postino” di riserva. L’alto prelato, che allora era un giovane prete nella parrocchia frequentata dal presidente della Dc, ha però confermato di aver recapitato alla famiglia alcune sue lettere, fattegli avere dai brigatisti. Secondo la sua ricostruzione, Mennini fu poi ricontattato nella fase finale del sequestro, «quando un’altra persona, indicata dalla famiglia, si rese irreperibile». Circostanza che consente al presidente della commissione, il democratico Beppe Fioroni, di non considerare inutile il viaggio da Londra del monsignore: «Mennini ha confermato l’esistenza di un “canale di ritorno” nella comunicazione tra la famiglia Moro e le Br ed ha comunicato una cosa totalmente nuova», ossia che furono almeno due le persone utilizzate come intermediari.
Il riscatto di papa Montini. Monsignor Mennini, che non esclude comunque che un sacerdote amico dei brigatisti possa aver davvero confessato Moro, ha anche confermato che papa Paolo VI – amico personale dello statista fin dalla fondazione della Dc, nel dopoguerra – tentò inutilmente di intavolare una trattativa riservata con i brigatisti, tanto da aver accumulato segretamente dieci miliardi di lire a Castelgandolfo. Nemmeno il drammatico appello pubblico del pontefice a «liberare l’onorevole Moro» ebbe l’effetto sperato, forse a causa di quella piccola aggiunta, «senza condizioni», chiesta e ottenuta dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti e da tutti i maggiorenti della Democrazia Cristiana.
Alessandro Testa