Non si arresta la polemica interna al Pd dopo l’esclusione del senatore civatiano dissidente Corradino Mineo – già direttore di RaiNews24 – dalla strategica commissione Affari costituzionali, che, nei piani del premier Matteo Renzi, entro l’estate dovrà esprimersi sulla nuova legge elettorale e sulle riforme costituzionali, compresa quella del Senato.
14 senatori “autosospesi”. La clamorosa ribellione di tredici senatori è stata annunciata ieri mattina in aula dal loro “portavoce” Paolo Corsini. Nel pomeriggio ha poi dato la sua adesione anche il senatore democratico eletto in Australia Francesco Giacobbe, che è andato ad aggiungersi a Corsini, a Mineo, all’ex ministro Vannino Chiti (autore di un contestato progetto alternativo di riforma, che prevederebbe un Senato più piccolo, ma ancora elettivo), all’ex magistrato Felice Casson, all’ex vicesindaco di Roma Walter Tocci, ed ai loro colleghi D’Adda, Dirindin, Gatti, Lo Giudice, Micheloni, Mucchetti, Ricciuti e Turano.
L’ira di Renzi. Durissima la reazione del premier Renzi, che sulla via del ritorno in Italia dal suo viaggio politico-commerciale in Asia non ha nascosto tutta la sua irritazione per l’ennesimo episodio di autolesionismo nella sinistra italiana, a pochi giorni dalla vittoria alle elezioni europee con il massimo storico: «Sulle riforme – ha affermato – non lasciamo il diritto di veto a nessuno. Non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo». Sulla stessa lunghezza d’onda anche molti suoi fedelissimi, che accusano a loro volta i “ribelli” di porsi in contrasto con la linea ufficiale del Pd, e dello stesso gruppo al Senato, che ha già approvato più volte il testo del Governo sulla riforma costituzionale.
«Chi viene eletto in Parlamento – ha detto il ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi – non viene eletto in una commissione specifica. E’ il gruppo che sceglie chi rappresenterà le proprie posizioni nelle varie commissioni, ed è il gruppo a decidere la sostituzione del senatore che non rappresenta più le sue posizioni, che comunque in aula è libero di votare come crede».
«I cittadini italiani vogliono le riforme – ha concluso la Boschi – e lo dimostra il 40,8% preso alle europee; non ci faremo fermare dai veti di 13 senatori».
Il casus belli. L’epicentro di tutte le tensioni interne ai Democratici sembra essere proprio Palazzo Madama – dove la maggioranza è risicata – e la sua possibile riforma, con una parte del partito che mal sopporta l’egemonia conquistata dai renziani, e teme che le riforme costituzionali ed elettorali in discussione possano renderla ancora più marcata. Per questo la rimozione di Mineo ha scoperchiato il vaso di Pandora, suscitando l’accusa di violare l’articolo 67 della Costituzione, che stabilisce il divieto del “vincolo di mandato” per i parlamentari.
La sostituzione dell’ex direttore di RaiNews24 è però ineccepibile dal punto di vista regolamentare, dato che Mineo – come altri due colleghi – partecipava ai lavori della Commissione in qualità di membro supplente al posto del sottosegretario Marco Minniti, a cui aspirava a succedere dopo le dimissioni di quest’ultimo, trasferito da ieri alla commissione Difesa (dove sarà comunque sostituito da Bruno Astorre). La rinuncia di Minniti – il cui posto è stato preso dal capogruppo Luigi Zanda – aveva verosimilmente lo scopo di “normalizzare” la pattuglia del Pd in Commissione ed assicurare alla maggioranza tutti e 15 i voti (su 29) su cui può contare sulla carta.
Verso l’Assemblea Nazionale. A scrivere l’ultima parola sul caso dei 14 senatori dissidenti potrebbe essere allora l’Assemblea nazionale democratica di sabato, convocata originariamente dal premier-segretario Matteo Renzi per celebrare la vittoria alle europee e chiedere un esplicito sostegno a tutte le riforme che il Governo – dopo la pausa elettorale – intende varare entro l’estate, compresi il decreto anticorruzione, la pubblica amministrazione ed il lavoro.
Dopo la schiacciante vittoria alle primarie dell’8 dicembre 2013 i renziani possono contare su oltre i due terzi dei voti (oltre a qualche ex cuperliano in cerca di riposizionamento), perciò è verosimile che i 14 senatori dissidenti finiranno per ritrovarsi isolati ed invitati a rispettare in aula “la volontà del partito e del gruppo parlamentare”.
Di Alessandro Testa