HomeEsteri Caso marò, la dura protesta del governo indiano
L’ambasciatore italiano “bloccato” a New Delhi

Caso marò, la dura protesta del governo indiano
L’ambasciatore italiano “bloccato” a New Delhi

di Paolo Costanzi15 Marzo 2013
15 Marzo 2013

Il premier indiano Manmohan Singh aveva annunciato ritorsioni per la vicenda dei marò: «Ci saranno conseguenze nelle nostre relazioni con l’Italia». E così è stato. La tensione tra il nostro Paese e l’India è salita talmente tanto che il 14 marzola CorteSupremaindiana ha inviato una comunicazione ufficiale all’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, intimandogli di «non lasciare il Paese». Una dichiarazione che ha provocato reazioni contrastanti in Italia, tanto che alcuni giornali vicini al centro destra, oggi nei titoli hanno parlato dell’ambasciatore come di un ostaggio.
Giuramento violato. Il diplomatico italiano è accusato di non aver mantenuto la parola data. Dunque, secondola Corte Mancini avrebbe violato la «dichiarazione giurata» presentata il 9 febbraio «a garanzia del ritorno» dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Inoltre, convocato per la seconda volta in soli tre giorni al ministero degli Esteri a New Delhi, l’ambasciatore italiano, sempre su richiesta della Corte, dovrà presentare una giustificazione entro e non oltre il 18 marzo, ossia il giorno prima dell’udienza riguardante i due fucilieri del San Marco. Udienza nella quale, come precisa il massimo organo giudiziario di New Delhi, non è necessario che il nostro ambasciatore si presenti di persona. Basta che provveda a fornire un resoconto scritto delle sue spiegazioni. Tra l’altro, contro Daniele Mancini è stata presentata una petizione pressola Corte Suprema – da parte di Subramanian Swamy, presidente di Janata Party, il partito all’opposizione – per chiedere un’azione legale contro di lui per il reato di «oltraggio alla Corte».
Inviolabilità e libertà di movimento. Se da una parte il diplomatico afferma di non avere intenzione di abbandonare il Paese – «Non lascerò l’India fino a quando le autorità competenti non mi dichiareranno persona non grata» – dall’altra c’è il diritto internazionale che accorre in suo aiuto.La Convenzione di Vienna – firmata nel 1961, ma ratificata dal governo di New Delhi quattro anni dopo, nel 1965 – sancisce la piena immunità e libertà di movimento al personale diplomatico accreditato presso un Paese estero. L’articolo 26 della suddetta Convenzione, infatti, afferma che «Lo Stato accreditatario assicura a tutti i membri della missione la libertà di muoversi». Non solo, qualche articolo più in basso, con precisione l’articolo 29, garantisce l’inviolabilità di Mancini in quanto ambasciatore: «La persona dell’agente diplomatico è inviolabile. Egli non può essere sottoposto ad alcuna forma di arresto o di detenzione. Lo Stato accreditatario lo tratta con il rispetto dovutogli e provvede adeguatamente a impedire ogni offesa alla persona, libertà e dignità dello stesso». Dunque, a meno che il Paese asiatico non voglia violarela Convenzione di Vienna – con conseguenza imprevedibili dal momento che non sono state stabilite – l’India non potrebbe rivalersi su Mancini.
Un Paese contro Mancini. Anche lo stesso legale difensore dei due fucilieri italiani, Dilijeet Titus – che ha abbandonato l’incarico – si è schierato contro il diplomatico affermando che «senza l’autorizzazione della Corte Suprema, l’ambasciatore d’Italia, Daniele Mancini, non può lasciare l’India prima dell’udienza fissata dalla stessa Corte per il 19 marzo».

Paolo Costanzi

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