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Chi è Carlo Cottarelli, il “Mister Forbici” con l’Italia in mano

di Federico Capurso22 Marzo 2014
22 Marzo 2014

Carlo CottarelliDue audizioni parlamentari in una settimana, l’impegnativa promessa fatta al governo Renzi di recuperare 59 miliardi nei prossimi tre anni: eppure Carlo Cottarelli, Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, è sempre sorridente, gentile, disponibile a rispondere alle domande dei giornalisti. A vederlo così – “Mister Forbici”, com’è stato soprannominato dalla stampa – non sembra l’uomo incaricato di decidere l’esubero di 85mila statali e il riassetto della Pubblica amministrazione, con sindacati e burocrati in trincea. L’uomo prima lodato da Letta, ora “bacchettato” da Renzi.
Il suo non è un lavoro di antica tradizione, almeno in Italia. Vede per la prima volta la luce nell’aprile del 2012 con Mario Monti, che dopo aver creato la “spending review” si accorge della necessità di un Commissario che la gestisca. Il primo nome è quello di Enrico Bondi, ex-commissario di Montedison, Parmalat e Ilva, esperto in risanamenti, rapidamente incaricato e ancor più rapidamente scaricato dallo stesso Monti per colpa delle polemiche sulla quantità di incarichi istituzionali che ricopre. Bruciato, finisce a fare il “supervisore” delle liste di Scelta Civica per le elezioni politiche del 2013. A sostituirlo, sempre sotto il governo Monti, giunge il Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, sin dall’inizio in difficoltà con il nuovo ruolo, perché messo di fronte alla necessità di tagliare i costi della P.a. pur avendo uno stipendio di oltre 560 mila euro l’anno. Ad ogni modo, dopo l’arrivo al Viminale di Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni, (per effetto del karma o per la legge del contrappasso, chissà) deve abbandonare entrambi i ruoli, di Ragioniere generale dello Stato e di Commissario.
Ecco allora che dal cilindro del Fondo monetario internazionale spunta Cottarelli, vecchio amico di Saccomanni, tanto caldeggiato dal ministro dell’Economia che Letta, a ottobre 2013, rende quasi ufficiale alla stampa la sua nomina a nuovo Commissario della spending review, ancora prima che Cotterelli riuscisse a dare le dimissioni da direttore del dipartimento Affari fiscali del Fmi.
Giunto a Roma, il terzo commissario in due anni ha giusto il tempo di istituire 25 commissioni con un centinaio di persone al seguito per decidere dove e cosa tagliare dal grande mondo della P.a. – con la promessa di recuperare per il governo Letta 18 miliardi di euro in tre anni. Pochi mesi dopo la nomina però, proprio come era accaduto ai suoi brevi predecessori, arriva lo scossone: Letta viene scalzato da Matteo Renzi, che dà il ben servito a Saccomanni e chiama a sé Pier Carlo Padoan. Senza l’appoggio e la tutela del ministro-amico, Cottarelli sembrerebbe destinato all’addio e invece, per evitare di ricominciare per l’ennesima volta tutto daccapo, Renzi lo riconferma mettendolo al centro del programma di governo.
La fiducia di Renzi però va conquistata e a Cottarelli viene chiesto un ulteriore sforzo. Ricevute le relazioni delle 25 commissioni, l’ex dirigente del Fmi decide di mettere in piedi una nuova singola commissione di undici persone, caldeggiata da Chiara Goretti, già assistente di Paolo De Ioanna al ministero del Tesoro e sua preziosa consigliera. L’obiettivo di Letta dei 3 miliardi di euro risparmiati nel 2014, con Renzi arrivano a 5 miliardi in otto mesi.
Stipendi dirigenziali, pensioni d’oro, società partecipate, Rai, trasporti, sedi e uffici, consulenze esterne, politica, forze dell’ordine, spese di personale: per ottenere i miliardi promessi, Cottarelli avrà la possibilità di operare su innumerevoli voci di spesa della Pubblica amministrazione. Ciò nonostante, almeno per ora, non si riuscirà a penetrare nel labirintico mondo delle amministrazioni locali. Le regioni possono stare tranquille ancora per un po’: secondo alcune indiscrezioni, infatti, sarà necessario almeno un altro anno di scandagliamento per cavarne fuori qualcosa. Sempre che il terzo commissario sia quello buono.

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