Il capo del Dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Viminale, Michele Di Bari, si è dimesso a causa di un’inchiesta sul caporalato che ha visto, tra gli indagati, anche sua moglie. Da una nota del Viminale si apprende che il ministro Lamorgese ha accettato le dimissioni richieste da Di Bari, prefetto di Mattinata che dal 2009 era al ministero dell’Interno.
L’indagine, condotta dai carabinieri della compagnia di Manfredonia e dal Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia, riguarda lo sfruttamento di lavoratori impiegati in dieci aziende agricole della zona tra luglio e ottobre del 2020. Secondo gli inquirenti, numerosi braccianti, tutti provenienti dall’Africa, venivano sfruttati nelle campagne e alloggiati nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, in condizioni di grave indigenza.
Sedici le persone coinvolte. In carcere sono finiti due cittadini stranieri, un uomo di origini senegalesi ed uno proveniente dal Gambia, mentre nei confronti degli altri tre arrestati sono stati disposti i domiciliari. Per gli altri indagati, tra i quali appunto la moglie del prefetto Di Bari, è scattato l’obbligo di firma. Agli indagati viene contestato, a vario titolo, il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Durante le indagini i carabinieri hanno verificato che i due arrestati avevano il compito di reclutare connazionali per la raccolta dei pomodori. I lavoratori venivano pagati 5 euro per ogni cassa riempita, sotto stretta sorveglianza e senza controlli sulla sicurezza. Inoltre i due sfruttatori si occupavano anche del trasporto dei lavoratori sui campi, pretendendo un compenso di 5 euro al giorno da ogni bracciante accompagnato oltre a un compenso per l’intermediazione.