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«Il 40% del referendum
non è tutto del Pd»

Cacciari avverte Renzi
«Il 40% del referendum
non è tutto del Pd»

di Salvatore Tropea06 Dicembre 2016
06 Dicembre 2016

«Pensare di assegnare il 40% del Sì al solo Partito Democratico, a meno che non sia una battuta propagandistica, è demenziale». È questo l’avvertimento di Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, a chi pensa che il centrosinistra possa ripartire, in vista delle prossime eventuali elezioni, dalla percentuale incassata con il voto referendario. Era stato infatti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti ad esprimersi in tal senso con un tweet subito dopo la sconfitta del 4 dicembre. «È chiaro – prosegue Cacciari – che di quel 40% almeno metà sono voti che in una elezione politica non andrebbero al Pd. Questo è palese e tutte le rilevazioni scientifiche su questo voto lo hanno dimostrato».

Cosa può accadere adesso, in particolare all’interno del Partito Democratico?

«Bisognerà vedere come si esce da questo momento, con un governo o con elezioni rapidissime. Inoltre c’è da vedere la direzione del Partito Democratico cosa decide. Se il Pd stesso sopravvive a questa prova, se rimane unito oppure no. Ma è impossibile adesso fare previsioni.»

Le dimissioni di Matteo Renzi sono state congelate dal presidente Mattarella…

«Giustamente. Era l’unica cosa da fare. Bisogna approvare le leggi di bilancio e stabilità con una certa rapidità. Dopodiché bisognerà capire se il Parlamento è in grado di fare una legge elettorale, ma quello è tutto da verificare. Se ci riesce si andrà a votare rapidamente, se non dovessero farcela la situazione si trascinerà per chissà quanto, forse addirittura fino alla scadenza naturale della legislatura.»

Lei già prima del voto temeva, in caso di vittoria del No, una crisi del sistema politico.

«La crisi già c’è, ma mi pare evidente si sia aggravata. Al di là dei dati economici e dell’andamento della borsa che tengono solamente grazie a Draghi, questo nostro angelo custode che ci protegge. Se ci fosse al posto di Draghi un falco tedesco saremmo spacciati già da tempo. Draghi salva la baracca italiana, spagnola, francese, greca, quindi teniamocelo stretto. Al di là dei dati economici e finanziari, è chiaro quindi che siamo all’interno di una crisi di sistema. Le forze politiche sono spappolate: il centro-destra non ha leader, non ha unità strategica su niente a differenza anche di vent’anni fa. Il Partito Democratico è spaccato al suo interno ancora peggio e quindi c’è questo spappolamento del quadro politico che esprime appunto una crisi di sistema.»

Entrando nel merito dell’esito del referendum. Gli italiani hanno votato davvero i contenuti della Riforma o invece è stato più un voto che potremmo definire “ad personam” contro Renzi?

«Quelli che hanno votato per il merito del contenuto della riforma saranno il 5, massimo il 10%, a essere ottimisti. Tutto il resto è stato un plebiscito pro e contro Renzi. E questo sciaguratamente l’ha voluto Renzi dall’inizio. Poi sembrava avesse capito e invece negli ultimi due mesi si è scatenato di nuovo e tutti i dati dimostrano che la sua onnipresenza televisiva e mediatica ha portato molti incerti ad andare a votare No. Quindi la sovraesposizione e l’effetto di ridondanza e di nausea che ha provocato in alcuni ha fatto sì che si spostassero alcuni voti verso il No. Il No probabilmente avrebbe vinto lo stesso, visto il risultato, tuttavia non con questo distacco abissale. Dopodiché incredibilmente né lui, né il gruppo dirigente del Partito Democratico fanno la minima seria autocritica e questo dimostra appunto che non c’è cervello che riesca a guidare quel partito perché l’assenza di ogni autocritica e adesso addirittura dire che il 40% è il 40 di Renzi dimostra che sono proprio nel pallone.»

C’è adesso la possibilità che il premier rimanga alla guida del partito?

«È naturale ed è giusto che un segretario rimanga finché non c’è un congresso che con una maggioranza lo mandi via. Questo mi pare del tutto legittimo. Il problema è che se Renzi pensa davvero che il 40% sia tutto suo, dimostra di averci capito davvero poco degli errori commessi e in generale dimostra l’assenza di un qualsiasi quadro dirigente del partito democratico, soprattutto a livello periferico, degno di questo nome.»

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