Lorenzo Pregliasco è co-fondatore dell’agenzia di ricerche sociali e comunicazione politica Quorum e direttore del webmagazine YouTrend. A Lumsanews ha parlato della controversa questione sulla legittimità dei social di eliminare un account.
I social sono ormai un mezzo di informazione e di comunicazione. Quanto sono importanti le piattaforme nel mondo politico?
Molto perché ovviamente sono spazi nei quali ormai si ritrova una quota importante dell’opinione pubblica. Non sono però degli spazi che da soli possono costituire il 100% della presenza pubblica per un leader politico. Quindi importanti ma non da soli.
Lei cosa ne pensa della recente espulsione di Donald Trump da Twitter?
Io credo che quella vicenda abbia messo in luce una contraddizione. Una piattaforma che presenta delle condizioni d’uso è legittimata a restringere l’accesso a utenti che violano le norme interne. Piattaforme di quelle dimensioni rappresentano però qualcosa in più: un canale attraverso il quale figure istituzionali, politiche, aziende, comunicano con milioni di persone. Un aspetto poco sottolineato e che andrebbe invece rilevato è che non so se Twitter avrebbe mostrato la stessa determinazione se il congresso fosse rimasto in mano ai repubblicani. La sensazione è che sia stata anche una scelta di opportunità politica nel momento in cui Twitter si trova in una nuova stagione nella quale le regole le detteranno i democratici.
Dopo il caso Trump, anche l’app del social conservatore Parler è stata rimossa dagli store di Google e di Apple.
Gli app store sono dei servizi di aziende private che possono esercitare un controllo su ciò che viene inserito tra le applicazioni. Quindi da un lato c’è la legittimità formale nell’esercitare una scelta da parte di Apple e di Google. Dall’altra parte, la pervasività degli app store sulle abitudini di consumo di miliardi di persone è tale che togliere l’accesso a queste piattaforme va a creare quindi un grosso ostacolo nella diffusione della app.
Parler a inizio febbraio è tornato online e il nuovo amministratore delegato Mark Meckler ha accusato Twitter di odiare la libertà di parola. Dove sta quindi la linea di confine tra libertà e censura?
Negli Stati Uniti c’è il Primo emendamento che postula che il governo non può adottare misure che limitino la libertà di espressione. Sono un po’ scettico perchè il Primo emendamento si riferisce al governo, non ai privati. Questo per dire che per Twitter, Google e Apple è a sua volta un esercizio della libertà di espressione decidere se limitare l’accesso ad alcuni utenti alla propria piattaforma. Paradossalmente, impedire alle piattaforme social di esercitare un controllo sui propri utenti sarebbe sì una violazione del Primo emendamento perché vorrebbe dire che il governo interferisce sul libero esercizio dell’espressione di un privato.
Lei nel 2019 ha scritto un libro sul “fenomeno” Salvini: quali sono i suoi metodi comunicativi? Il suo utilizzo dei social network è paragonabile all’uso che ne faceva Trump?
Si ci sono alcuni tratti comuni per posizionamento politico, ispirazione personale: Salvini ha ricalcato lo stile trumpiano e si dice che anche Trump abbia ricalcato lo stile dei populismi europei nella sua comunicazione. Alcune cose sono comuni: il rivolgersi molto direttamente ad una comunità di sostenitori, i toni spesso sopra le righe e provocatori, la derisione di avversari molto evidente. Ci sono però anche molte differenze a partire dal tipo di leadership.
Dal 2019 ad ora la posizione di Salvini nel panorama politico italiano è cambiata. Ci sono state delle modifiche anche a livello di comunicazione con i suoi seguaci?
L’evoluzione della comunicazione rispecchia e in certi casi anticipa un cambiamento politico che c’è stato. Dal 2019 ci sono stati due passaggi: il primo è stato l’uscita dal governo del 2019 che ha coinciso con una certa incertezza all’inizio della pandemia e la strategia comunicativa è stata meno efficace. Il secondo passaggio è quello recente del ritorno al governo e la comunicazione è nuovamente cambiata. Segnalo il tentativo di fare sponda all’interno del Partito democratico, una novità che prima non avremmo visto.
Secondo Lei c’è il rischio che anche in Italia si verifichino episodi di censura estrema a livello politico come accaduto negli Stati Uniti?
Non so se considerare censura quella che è avvenuta negli Stati Uniti e trovo che ci sia spazio per il dibattito. Detto ciò, in Italia esistono già dei limiti all’attività politica: la legislazione sul divieto di rievocazione del fascismo. In Italia e in Europa ci sono alcuni limiti che derivano dall’aver coltivato in patria regimi totalitari. Questo aspetto negli Stati Uniti non c’è ed è il motivo per cui tendono ad avere una disciplina molto più liberale sulla libertà di espressione in generale. Quindi ci sono già dei limiti richiamati in relazione a movimenti come Casapound, Forza nuova e altri.