“È il momento della verità, resta poco tempo, qualche ora utile nei negoziati per garantire l’entrata in vigore dell’accordo il 1 gennaio. Ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Io mi assumerò la mia nel rispetto del mandato dei 27″. Così il capo negoziatore per l’Unione europea Michel Barnier stamattina al Parlamento Ue ha fatto il punto sulla trattativa per la Brexit. Ha poi ricordato che “sono stati i britannici a fissare un termine stretto per l’uscita e hanno rifiutato ogni proroga del periodo di transizione”, proposto dall’Europa a giugno.
Poi, sulla possibilità di un’intesa, ha aggiunto: “Vogliamo un accordo, ma non sarà a tutti i costi, non so quale sarà l’esito di questa ultima fase di negoziati. Stiamo cercando di trovare un accordo sulla pesca, non siamo sicuri che ce la faremo se nessuno fa un passo avanti. Per questo siamo pronti a ogni scenario e abbiamo preparato le misure d’emergenza per essere pronti a un <no deal>”.
Lo scenario post Brexit, ancora incerto, inizia a preoccupare gli altri paesi europei. L’ipotesi che, una volta concluso l’accordo, il Regno Unito possa fare concorrenza sleale alle imprese europee, è tutt’altro che irreale.
Durante la sessione plenaria di oggi, il vicepresidente dell’Europarlamento (ed esponente del Movimento 5 stelle), Fabio Massimo Castaldo, ha spiegato che la Gran Bretagna potrebbe ricorrere a sussidi statali o favorire le proprie aziende ricorrendo al dumping sociale, come già avvenuto nel 1992 quando Londra rifiutò di aderire al Protocollo sulla politica sociale. In quel caso, non essendo obbligate a dare attuazione alle disposizioni sulla politica sociale, le imprese britanniche potevano vantare un costo del lavoro più basso, che attraeva investimenti esteri e garantiva una maggiore concorrenzialità ai beni prodotti nel Regno Unito.