Non accenna a placarsi l’onda di protesta che, da qualche settimana, ha investito la Bosnia, in particolare la Federazione croato-musulmana. Dopo l’accordo di pace di Dayton del 1995, infatti, la Bosnia Erzegovina è stata divisa in Federazione croato-musulmana – a sua volta suddivisa in 10 cantoni con relativi governi locali – e Republika srpska, che unisce la comunità serba.
Alla base del malcontento, la disoccupazione che ha superato il 44% (primo Paese in Europa), un crescente disagio sociale e la corruzione dilagante nella classe politica e dirigenziale. Nei manifestanti, per lo più giovani e disoccupati, c’è la consapevolezza che la guerra del ’92-95 abbia giovato solo ad una piccola parte della popolazione, arricchitasi in poco tempo.
La rivolta è scoppiata a Tuzla, città della Bosnia settentrionale, terza per numero di abitanti e sede di uno tra i più importanti distretti industriali. Il licenziamento di migliaia di lavoratori da parte di quattro grandi aziende(Konjuh, Polihem, Dita e Resod-Gumig), che hanno dichiarato fallimento, ha rappresentato la scintilla in una autentica polveriera. I manifestanti hanno preso di mira il governo cantonale, chiedendo la revoca degli accordi di privatizzazione, condotti in maniera discutibile nel dopoguerra.
In poco tempo le rivolte si sono propagate a macchia d’olio, giungendo anche nella capitale Sarajevo. La città, dopo violenti scontri e l’incendio del palazzo presidenziale, si è affidata a un’assemblea permanente autogestita: anche qui il governo locale è stato cacciato. Proprio i governi cantonali, infatti, sono il simbolo di una ricostruzione perversa: nei dieci cantoni della Federazione croato-musulmana lavorano 180mila dipendenti pubblici su una popolazione di 3,8 milioni. La burocrazia elefantiaca rappresenta il primo datore di lavoro del Paese, con un conseguente spreco di fondi pubblici. Pertanto, ovunque i manifestanti chiedono la soppressione di quelli che considerano autentici doppioni del governo centrale.
Il potere centrale, anch’esso impopolare, sta valutando l’ipotesi di elezioni anticipate, al fine di scongiurare una nuova guerra, che in un Paese diviso tra serbi, musulmani e croati, sarebbe ancora più devastante.