Mentre donne e giovanissimi continuano a scandire nelle piazza iraniane, “Jin, jiyan, azadi”, “donna, vita, libertà”, e le ragazze occidentali si tagliano ciocche di capelli in segno di solidarietà, anche l’Unione europea batte un colpo contro la repressione della teocrazia iraniana.
Josep Borrell, alto rappresentante della politica estera Ue, chiede non solo di fermare tutte le violenze, rilasciare i detenuti e garantire libere manifestazioni di protesta, ma ha anche affermato che “l’Unione europea sta valutando tutte le opzioni contro la repressione”. Alla condanna delle violenze, costate la vita ad almeno 92 persone secondo alcune Organizzazioni non governative, ha replicato a stretto giro il ministro degli Esteri di Teheran Hossein Amirabdollahian, il quale è pronto a rispondere a qualunque iniziativa politica Ue, considerandola non solo un’ingerenza ma un implicito appoggio a “terroristi e rivoltosi”.
Perché – questa è la tesi che il governo iraniano tira fuori a ogni protesta – chi scende in piazza non è mai un cittadino stanco di imposizioni medievali di un regime oscurantista, ma sempre e comunque un ribelle aizzato dall’Occidente. In ogni caso, al netto della presa di posizione contro le milizie in motocicletta che sparano contro studenti disarmati, l’Ue non può rinunciare alla strada diplomatica. Ne va della salvezza non solo di Alessia Piperno, la ragazza romana incarcerata a Evin per cui la Farnesina è a stretto contatto contatto con le autorità di Teheran, ma anche di altri nove stranieri che sono stati arrestati nel corso delle proteste.
La televisione di Stato iraniana sta già facendo circolare immagini di “confessioni” di spionaggio da parte di due francesi reclusi da maggio scorso. E il rischio di montare “processi farsa” per dimostrare il coinvolgimento occidentale nelle proteste è dietro l’angolo.