Il 4 ottobre 2021 un blackout improvviso scuote il mondo dei social network. Intorno alle 17,30 ora italiana, le principali app controllate da Mark Zuckerberg, ovvero Facebook, Whatsapp e Instagram, smettono di funzionare. Un blocco durato fino a mezzanotte. Per circa sette ore, sullo schermo degli utenti appaiono messaggi di errore come “impossibile caricare il contenuto” o “sei offline”. Il vicepresidente delle infrastrutture di Facebook, Santosh Janardhan, annuncia dopo alcune ore in un post che la causa è stata un’errata configurazione dei server.
Utenti, mass media e l’intero mondo del web si interrogano: come è potuto accadere? Il professore dell’Università Lumsa ed esperto di tecniche informatiche per la gestione dei dati, Maurizio Naldi, spiega a LumsaNews che quello avvenuto nella galassia Zuckerberg è un classico incidente tecnico provocato da un errore umano. “Il guasto ha riguardato il protocollo BGP (Border Gateway Protocol), che permette di individuare il percorso che i messaggi devono fare per arrivare sulla piattaforma di Facebook”, afferma il docente. Nello specifico, si è verificato “un errore nell’aggiornamento della configurazione dei router, i dispositivi che instradano il traffico in rete”, che ha causato il distacco della piattaforma da Internet.
Nonostante Janardhan racconti di un problema tecnico, è innegabile che il blocco si sia trasformato in un “esperimento sociale involontario”, come sostiene l’editorialista di Avvenire Umberto Folena. Un’ipotesi che, secondo il professore di Scienze della comunicazione, marketing e digital media dell’Università Lumsa, Simone Mulargia, ha un fondo di verità, poiché questo blackout è stata un’occasione per poter ragionare su noi stessi e sul rapporto che abbiamo con queste tecnologie”. L’interruzione dei servizi online ha fatto crollare i titoli di Zuckerberg a Wall Street – con una perdita di circa sei miliardi di dollari – e soprattutto ha generato una profonda riflessione sull’approccio degli utenti nei confronti dei social network.
Da quando ha acquisito Whatsapp e Instagram, la piattaforma di Menlo Park è stata spesso accusata di pratiche monopolistiche. Anche la Federal Trade Commission ha presentato in merito una denuncia lo scorso dicembre. Facebook, a poche ore di distanza dal blackout, ha chiesto al giudice l’archiviazione della causa. Secondo Naldi, i “giganti di Internet”, tra i quali rientrano anche Google e Amazon, “hanno una posizione di forte predominio”. L’indice HHI (Herfindahl-Hirschman Index), che fornisce una misura del livello di concentrazione di un mercato, “è attualmente di 0,34” nel caso delle app di messaggistica istantanea, il che “indica una forte concentrazione ma certamente non un monopolio”.
Il lunedì nero di Facebook ha portato il mondo a fatto interrogarsi sul livello di dipendenza dai social network grazie anche alle considerazioni di una ex manager, Frances Haugen. Davanti alla sottocommissione del Senato Usa, Haugen ha affermato che i prodotti della piattaforma di Menlo Park danneggiano i ragazzi e che l’azienda ha messo i suoi profitti davanti alla sicurezza della gente. Una questione che “si inserisce nel più ampio tema della regolamentazione delle piattaforme”, afferma Mulargia, esortando la politica a “prendersi l’incarico di trovare soluzioni che siano rispettose delle iniziative imprenditoriali ma anche dei diritti dei cittadini”.
La presidente del comitato ministeriale “Media e minori”, Donatella Pacelli, spiega che “se un minore si chiude nel rapporto con i propri tablet o smartphone, ciò è probabilmente dovuto non solo all’attrattività strumentale, ma anche al vuoto relazionale che si è creato nella vita vera”. Secondo Pacelli “abbiamo lasciato i giovani soli davanti alle nuove tecnologie, illudendoci di pensare che l’abilità tecnologica fosse accompagnata da una consapevolezza”. Serve pertanto un’autoregolamentazione sulle grandi piattaforme “ma non c’è nessuno che si impegna a far innalzare la soglia di controllo dell’età”. Nonostante lo sforzo dell’Autorità garante per l’infanzia e di quella per la comunicazione, la normativa europea e nazionale non è al passo con i tempi, in quanto i codici di autoregolamentazione vigenti non tengono conto dell’attuale evoluzione delle realtà presenti nel mercato.
Sicuramente gli utenti, a causa del blocco improvviso, si sono ritrovati a usare forme di comunicazione tradizionale, come gli sms e le chiamate, o a prediligere altre piattaforme non controllate da Zuckerberg, Twitter e Telegram ad esempio. “C’è stata una straordinaria occasione di instant-marketing, la strategia che sfrutta gli avvenimenti di attualità in tempo reale”, segnala Mulargia. Ma, come precisa Naldi, la maggior parte degli utenti è restia a spostarsi su altre piattaforme “per via dell’impegno richiesto per l’apprendimento delle funzionalità dell’app e per la migrazione dei contatti”. L’esperto non esclude peraltro futuri blackout di simile entità. “È inevitabile – conclude – che in strutture così complesse e di dimensioni così grandi possano verificarsi eventi estremi come questo”.