Era il 1927 quando il fisico George Lemaitre ipotizzò che tutto l’universo nacque dall’esplosione di un atomo primitivo. Ma oggi, dopo 80 anni, la teoria del Big-bang entra in crisi. Due recenti studi americani proverebbero che la Luna sia il frutto di un impatto tra la Terra e un corpo planetario grande quanto Marte (e noto come Theia), avvenuto circa 4,5 miliardi di anni fa.
Nato in questo modo, il nostro satellite dovrebbe aver ereditato i caratteri di entrambi i corpi celesti. E invece no, somiglierebbe del tutto alla Terra, per quel che riguarda la composizione isotopica di alcuni elementi, come ossigeno e titanio. Un bel problema per la teoria dell’impatto, che ora però due studi pubblicati su Nature e Science cercano di risollevare, chiamando in causa nuove variabili con analisi delle rocce lunari e simulazioni al calcolatore.
Uno dei punti principali riguarda le osservazioni su campioni rocciosi raccolti nelle missioni Apollo, su campioni terrestri e meteoriti marziani. Le analisi effettuate da James Day della Scripps Institution of Oceanography, insieme a Randal Paniello e Frédéric Moynier della Washington University di St. Louis, pubblicate su Nature, mostrano bassissimi livelli di zinco, sostanza volatile (ovvero che evapora facilmente), nelle rocce lunari, arricchite però da isotopi pesanti dello stesso elemento.
Testimonianze, quelle del frazionamento isotopico, cercate a lungo e che secondo i ricercatori conforterebbero l’ipotesi di un grande evento di evaporazione, ha spiegato Day: «Come rimuovere tutti i volatili da un pianeta o, in questo caso, da un corpo planetario? È necessario un grande evento di fusione della Luna per fornire il calore necessario a far evaporare lo zinco». Un evento che potrebbe essere stato proprio quello di un grande impatto, che avrebbe permesso agli elementi volatili più leggeri di “scappare” prima che il materiale vaporizzato nella collisione potesse condensare. Anche se, spiegano ricercatori, resta aperta una questione: spiegare perché la Terra, coinvolta nell’impatto, non sia anch’essa povera di elementi volatili, e anche perché sia così ricca di acqua.
Ma lo studio su Nature non è l’unico a favore della teoria dell’impatto. Ci sono infatti anche le simulazioni al computer. I modelli precedenti su questa ipotesi prevedevano che la collisione gigante avesse avuto lo stesso momento angolare (una grandezza fisica legata alla rotazione) avuto oggi dal sistema Terra-Luna. Ma è necessaria una piccola digressione per chi è completamente a digiuno di fisica: il momento angolare è una grandezza vettoriale (ossia contraddistinta da un modulo, o lunghezza, una direzione e un verso) che serve a caratterizzare un corpo in rotazione. Si calcola a partire dalla massa, dalla velocità e dalla distanza dell’asse di rotazione: in generale, più velocemente ruota un corpo, o più è distante dall’asse di rotazione, maggiore è il modulo del suo momento angolare.
Il team guidato da Matija Ćuk del Seti Institute e Sarah T. Stewart della Harvard University – a capo di uno dei due studi su Science – ha provato a riformulare le ipotesi, partendo da un momento angolare della Terra più elevato in prossimità della collisione. Secondo le simulazioni al computer effettuate dai ricercatori si potrebbe infatti così giustificare la formazione di un disco lunare – da cui sarebbe nato appunto il nostro satellite – fatto di materiale terrestre (quello del mantello).
E i conti sembrano tornare anche cambiando ancora le dinamiche del sistema di partenza. Nello studio presentato da Robin Canup del Southwest Research Institute (Texas), sempre su Science, i ricercatori hanno effettuato nuove simulazioni al computer, stavolta immaginando però un impatto tra oggetti celesti di grandezza comparabile; entrambi con una massa simile a quella Terra.
Lorenzo Caroselli