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"Il Backstop irlandese
può compromettere
la stabilità della regione"

Intervista a Leopoldo Nuti

storico delle Relazioni internazionali

di Flavio Russo02 Aprile 2019
02 Aprile 2019

epa07329389 Pro EU campaigners outside parliament in London, Britain, 29 January 2019. The House of Commons is set to vote on amendments to British Prime Minister May's Brexit plan in parliament on 29 January. EPA/WILL OLIVER

Al di là delle conseguenze economiche, quali possono essere le conseguenze sociali e politiche della ricostruzione di un confine poco permeabile a causa della Brexit tra le due Irlande?

«Questo è chiaramente uno dei punti chiave del negoziato, sul quale si ha l’impressione che i proponenti della Brexit – e l’attuale governo in carica – non abbiamo riflettuto abbastanza. L’accordo in vigore è del 1998 (il Good Friday Agreement o Belfast Agreement) e la relativa tranquillità che tutta l’Irlanda del Nord ha goduto nell’ultimo ventennio dipendono dalla porosità di quel confine e dal renderlo quasi evanescente. Un ritorno a una situazione diversa richiederebbe uno sforzo politico molto impegnativo da parte di tutte le parti in causa per evitare che nella regione si riaccendessero le tensioni che al giorno d’oggi appaiono fortunatamente sopite».

Nel caso di una permanenza del Regno Unito all’interno dell’Ue, almeno fino alla data delle elezioni europee, come crede si potrà svolgere la campagna elettorale in Gran Bretagna?

«Con toni molto accesi, immagino – anche se l’incapacità della classe dirigente di formulare proposte chiare e convincenti rende tutto abbastanza confuso».

Quanto sono concrete secondo lei le possibilità di una ridiscussione dei termini della Brexit o di un nuovo referendum, come proposto dai laburisti?

«Io continuo a sperare che prima o poi si possa arrivare a un secondo referendum, ma temo si tratti di una mia illusione. Temo che tutta la classe dirigente britannica in questo momento sia inadeguata, e faccio riferimento sia ai conservatori sia ai laburisti: la mancanza di chiarezza, il pressapochismo, e la confusione abbondano su entrambi i lati della barricata. Quanto alla ridiscussione dei termini, credo che la Commissione e Barnier possano al massimo accettare qualche ritocco cosmetico ma non molto di più».

Da più parti il “no deal” viene rappresentato come un disastro economico per il Regno Unito. Perché gli oltranzisti di una hard Brexit continuano a spingere forte verso questa soluzione?

«Basta leggere Boris Johnson, il quale immagina un futuro “lacrime e sangue” alla Churchill che però consentirà ai Britanni di tirar fuori tutto il loro valore. C’è la radicata convinzione che il popolo britannico abbia la tempra sufficiente per uscire dalla situazione di grave diffiicoltà iniziale in cui verrà a trovarsi e che ne farà anzi tesoro per ridarsi lo slancio necessario a costruirsi un futuro migliore. E’ inoltre probabile che i sostenitori della Brexit pensino di poter trasformare il Regno Unito in una sorta di gigantesco hub della finanza mondiale, libero da lacci e vincoli europei, che ne consentirà la ripresa economico».

Buona parte dell’opinione pubblica scozzese si dice favorevole a un “remain” della nazione all’interno dell’Ue. Cosa potrebbe succedere con il concretizzarsi della Brexit?

«Sicuramente un inasprimento delle tensioni con il governo scozzese, anche se faccio fatica ad immaginare una possibile secessione scozzese, a cui credo anche la UE guarderebbe con preoccupazione. Non me la sento di escluderla fino in fondo ma mi pare relativamente poco probabile».

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