LumsaNews ha intervistato Mauro Munafò, giornalista de L’Espresso, che da sempre si occupa dal mondo social e che segue Matteo Salvini dal 2014.
Cinque anni fa scrisse: “La pagina Facebook di Matteo Salvini è un’esperienza unica. Per certi versi, un viaggio mistico”. Cosa intendeva con queste parole?
«Il tono, essendo quello del mio blog, era un po’ ironico. Iniziai a occuparmi della sua pagina Facebook perché già allora presentava delle caratteristiche uniche nel panorama politico italiano e internazionale: c’era un modo unico di interagire con elettori e fan. Salvini era molto più informale, come se fosse uno di loro: già cinque anni fa condivideva quello che mangiava, faceva battute, si lamentava se una partita era andata male. Tutto con un linguaggio sopra le righe rispetto a quello a cui si era abituati, quindi più da compagnone che da europarlamentare. Intervallava il tutto con le sue storiche battaglie politiche: immigrazione e sicurezza.»
Come è cambiata nel tempo la comunicazione politica online di Salvini?
«Negli ultimi cinque anni è stata abbastanza lineare. Era cambiata invece nel 2013, quando ha iniziato a lavorare per lui l’attuale team, che l’ha resa più professionale e strutturata. Tutto si basa su due livelli: locale e nazionale. Da qui la partecipazione a eventi locali, condivisi attraverso le dirette Facebook, e dall’altro lato i temi nazional popolari. I contenuti sono scritti in maniera semplicistica e rapida: non ci sono mai post lunghissimi o complicati, vengono proposti video in cui parla come il tuo vicino di casa. Ora, infatti, sono gli altri a imitarlo: ha dimostrato che questo sistema funziona e gli ha permesso di ottenere risultati elettorali sempre migliori e l’attenzione dei media. Negli ultimi tempi sta spingendo sul tasto dell’ironia o dell’autoironia: a volte infatti è costretto a difendersi, dato che adesso c’è lui al potere, ma lo fa sempre con lo stesso stile, prendendola sul ridere.»
I numeri dicono che la strategia social di Salvini è efficace. Qual è il suo segreto?
«Parla direttamente con le persone ed evita, come la peste, di andare fuori dagli argomenti che lui vuole siano al centro dell’agenda, che spesso detta lui stesso, soprattutto attraverso i temi dell’immigrazione, del contrasto all’Unione europea, della sicurezza. Condivide ossessivamente contenuti che hanno a che fare con questo, per esempio video di immigrati che commettono dei reati mentre non lo fa mai con gli italiani che fanno altrettanto. In questo modo crea la sensazione negli elettori e nei follower che queste tematiche siano davvero importanti. Sfrutta infine un vento internazionale che su certi temi è molto più sensibile e in cui lui si è collocato perfettamente.»
Qual è il target medio dei suoi post?
«Tendenzialmente le persone che seguono Salvini sono utenti di tutte le fasce d’età, soprattutto i più grandi adesso. A parte lo zoccolo duro che viene dalla Lega Nord, in molti sono delusi da altri partiti o esperienze. Il suo boom elettorale, a livello di sondaggi, va a pescare tra chi precedentemente aveva votato Cinque Stelle e adesso, deluso, scommette su Salvini. Su Facebook lo seguono persone che sono state influenzate negli anni da una fortissima campagna contro l’immigrazione e cercano quei temi. Inizialmente ha funzionato soprattutto con i ceti meno colti, che conoscevano poco la realtà internazionale. In realtà, ormai, il suo target è talmente esteso e non è più facilmente definibile.»
Quante persone vengono escluse? Dei suoi fan social, quanti vogliono semplicemente “trollarlo”?
«Credo vi sia una costante opera di moderazione attraverso parole chiave, che se utilizzate escludono i commenti sotto i post sulla gran parte dei social. Si tratta del cosiddetto “Shadow Ban”, una procedura più soft perché tecnicamente non ti “bannano”, ma quello che scrivi non lo legge nessuno e ha lo stesso effetto. Credere di andare a “trollare” Salvini è un’illusione di chi non conosce lo strumento. Qualunque interazione con un post della sua pagina ne aumenta la portata: quindi un commento o una reazione, anche negativa, gli garantiranno ulteriore visibilità. Molti post provocatori sono pensati proprio per chi non ti vota, perché quelle tematiche molto sensibili accresceranno la portata del messaggio nei confronti dei tuoi amici e della tua rete sociale, che magari guardano in silenzio, non commentano, non sono politicamente attivi ma sono dei potenziali destinatari.»
Quindi i gattini e i kebab postati sul suo profilo sono stati controproducenti per i suoi “haters”?
«Anzi, lo hanno umanizzato molto. Tutta la sua strategia mediatica è nata sin dall’inizio per non farlo più percepire come l’esponente di un partito con profonde radici xenofobe, che spaventava parte dell’elettorato più moderato, che pensava alla Lega Nord come quella di Borghezio, Bossi, Gentilini, tutti soggetti borderline. Non a caso lui non si è scagliato contro, ma è stato al gioco e adesso risponde con i “bacioni” e i cuoricini anche alle critiche, mostrando umanità e simpatia.»
Eppure continua le sue storiche battaglie e a dare del radical chic a chi non la pensa come lui.
«Certo, è fondamentale perché qualunque tipo di comunità o popolo, online o offline, ha bisogno di un nemico. Nel suo caso sono l’immigrato, l’Europa, il radical chic, il borghese, il comunista, inteso come l’intellettuale che in realtà non capisce il problema dei popoli. Questo anche quando rappresentano l’1%, come l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che ora politicamente non esiste, nonostante le sue battaglie possano essere condivisibili: prendersela con lei è assolutamente un esercizio di stile, serve solo per definire il tuo popolo.»