Un’inchiesta de Il Sole 24 Ore rivela la salute delle aziende dopo la crisi del 2008 e dopo anni di politica monetaria ultra-espansiva, che però ha contribuito anche a creare notevoli squilibri. Un’azienda con problemi di debiti, andava incontro ad una serie di vantaggi tra i quali le iniezioni di liquidità. Questi squilibri però hanno portato all’aumento in dieci anni dell’incidenza media del debito societario sul Pil dall’81 al 96%. Recentemente, un rapporto di S&P ha evidenziato come le aziende che hanno un elevato rapporto di indebitamento siano più vulnerabili, considerando il contesto di rialzo dei tassi. Una vulnerabilità che si accentua in caso di rallentamento del business o di aumento della spesa per interessi.
In un’azienda un’elevata leva finanziaria, ovvero il suo rapporto di indebitamento, comincia a costituire un problema se le condizioni alle quali il debito è stato contratto peggiorano e non lo rendono più sostenibile e, in caso di stretta monetaria più rapida del previsto può innescare un’ondata di default. Questo rischio fortunatamente non è così imminente, come spiega Andrea Franceschi, autore dell’inchiesta. Nonostante si sia verificata in questi anni una vera e propria esplosione del debito da parte delle società a basso rating, non si vede all’orizzonte un rischio default immediato. Un’eventuale stretta della Fed sarebbe infatti mitigata da una probabile riforma fiscale negli Usa, per garantire flussi di cassa aggiuntivi alle imprese in difficoltà, consentendo loro di guadagnare tempo.
Ma quando l’economia degli Stati Uniti, in costante crescita da anni, inizierà la sua fase discendente, si porrà nuovamente il problema della sostenibilità del debito. La Cina ad esempio, considerata la seconda economia mondiale, presenta già dei problemi legati all’eccesso, avendo già cominciato la fase di “rallentamento controllato” che in dieci anni ha portato la leva finanziaria globale ad un peggioramento dal 32 al 37 per cento.