Per la prima volta, dopo 42 anni, non è stato possibile commemorare sul posto la strage di via Fani, che portò al rapimento di Aldo Moro e all’uccisione dei cinque uomini della sua scorta. Le misure imposte dal governo a seguito dell’emergenza Coronavirus impediscono infatti qualsiasi manifestazione pubblica per limitare al massimo i rischi di contagio.
Non sono mancati però i messaggi, da parte di tutto il mondo politico, in ricordo di quel 16 marzo. “In un momento drammatico per il Paese quel sacrificio ci ricorda che l’Italia ha superato la tragedia del terrorismo unendosi attorno alle istituzioni democratiche: facciamo lo stesso oggi”, scrive Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia, su Twitter.
Era il 16 marzo 1978 quando, in via Fani, si consumò il sanguinoso atto terroristico compiuto da militanti delle Brigate Rosse che portò alla morte della scorta dell’esponente della Dc e al suo rapimento. La già tragica vicenda avrà, 55 giorni dopo, un altrettanto tragico epilogo con il ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Michelangelo Caetani, a Roma.
Sono passati oltre quarant’anni da quel giorno che ha segnato la storia d’Italia, ma la memoria di Moro, dell’uomo per cui “la persona prima di tutto”, rimane indelebile. Così, in un’intervista a LumsaNews, lo ricorda l’onorevole Gero Grassi, componente della Commissione d’inchiesta sull’eccidio di via Fani, sul rapimento e la morte di Aldo Moro
Perché Aldo Moro è importante per la storia italiana?
“Prima di tutto per quello che lui è stato e per quello che ha fatto durante la sua vita. Poi per il rapimento e l’omicidio. Non si può considerare Moro solo per il suo omicidio perché lui è stato rapito e ucciso proprio per quello che faceva e pensava.
Facciamo un passo indietro nel tempo e andiamo al 3 novembre del 1941. Università di Bari, siamo in pieno fasciamo, Aldo Moro entra nella prima lezione da docente universitario e dice: “La persona prima di tutto”. I fascisti vogliono arrestarlo perché per loro era un sacrilegio. Moro ha considerato la persona prima di tutto fino alla morte.
Perché dobbiamo ricordarlo? Perché è stato rapito e ucciso? Perché stava facendo due grandi operazioni. Voleva creare l’Europa dei popoli, sovvertendo gli accordi di Yalta, quindi la divisione del mondo in due, Est e Ovest. Voleva realizzare in Italia la democrazia compiuta, cioè la democrazia dell’alternanza tra forze diverse che stanno entrambe in un sistema democratico repubblicano europeo”.
Quali sono gli insegnamenti che ha lasciato all’Italia?
“Innanzitutto il suo contributo nella realizzazione della Costituzione. La nostra carta costituzionale, a differenza dello Statuto albertino, non concede i diritti ma li riconosce. Moro diceva che i diritti concessi possono essere revocati, i diritti riconosciuti sono diritto naturale, quindi non c’è qualcuno che li attribuisce e quindi non ci può essere qualcuno che li toglie.
Poi il grande impatto che ha avuto sulla scuola italiana. Si pensi all’introduzione dell’educazione civica, alla realizzazione della scuola materna che prima non c’era e, nel 1963, alla realizzazione della scuola media obbligatoria che fu anticipata dal programma Rai “Non è mai troppo tardi”. Il programma portò a far prendere la licenza elementare a tre milioni e mezzo di persone che non avevano potuto studiare”.
C’è, ad oggi una verità sul caso Moro?
“A 42 anni da quell’evento una considerazione che non può essere sottaciuta è che non basta mai quello che si è fatto per trovare la verità sul rapimento e sull’omicidio dei cinque uomini di scorta e di Aldo Moro.
Per tanti anni la verità è stata negata, cioè è stata costruita una verità dicibile nella quale le Brigate Rosse, vere e false, si addossavano la responsabilità dell’operazione. I risultati della Commissione Moro II dicono che le Br ci sono state. Ma quello che hanno fatto è stato accompagnato da atteggiamenti di alcune parti dello Stato. Non si è trattato però di un ‘omicidio di Stato’, perché c’era tanta gente che voleva che fosse liberato.
L’omicidio di Moro ha una definizione che è stata data il 9 maggio 1979 dal Rettore dell’Università di Urbino che lo definì “delitto di abbandono”. Moro fu abbandonato da tutti perché doveva morire”.