È arrivato il no da parte di Julian Assange. Non accetterà l’offerta di asilo politico da parte del presidente dell’Ecuador Lenin Moreno: quest’ultimo gli aveva proposto di lasciare l’ambasciata britannica di Quito a Londra, dove vive da rifugiato dal 2012, e di volare nel suo paese dell’America centrale dove gli sarebbe stata garantita una “quasi libertà”.
Wikileaks, sul profilo Twitter dell’organizzazione, esprime la convinzione che quella di Moreno sia di fatto una messinscena.
The only deal is between Ecuador and the United States–to sell Assange for loans. The UK is repeating, as it always has, the standard EU policy of asking the US for life in prison instead of death. That’s no deal. Ecuador fabricates the claim to lay the ground for expulsion.
— WikiLeaks (@wikileaks) 7 dicembre 2018
“Una manovra diversiva” per distrarre l’attenzione dalle ultime rivelazioni del New York Times. Sarebbe in corso una presunta trattativa sottobanco dell’Ecuador con Paul Manafort, già uomo chiave della campagna elettorale di Donald Trump, per vendere Assange all’amministrazione americana in cambio di soldi e di un taglio del debito.
L’avvocato Pollock, che difende l’attivista, citato dal Daily Telegraph online, ha definito le proposte del presidente ecuadoriano inaccettabili. “Lasciar credere che togliere dal tavolo la pena di morte comporti per Assange di non dover più temere d’essere perseguito sarebbe sbagliato, mentre nessuno deve essere perseguito per aver pubblicato informazioni vere”, ha detto il legale
Il sospetto di tutti i sostenitori di Assange, e non solo di Wikileaks, è che i paletti indicati da Moreno non lo mettano in realtà per nulla al riparo da una possibile estradizione negli Usa, infuriati con lui fin dalla diffusione dal 2010 di documenti riservati .