A tre anni dalla caduta del dittatore Muhammar Gheddafi, Tripoli è di nuovo in guerra. La zona dei palazzi del governo è stata bloccata, il parlamento è stato occupato da rivoluzionari e i membri dell’esercito, che hanno costretto deputati e dipendenti a uscire in tutta fretta cercando di evitare i carri armati, mentre gridavano al colpo di Stato.
Ieri sera, su due reti televisive private, il colonnello Mokhtar Fernana ha letto un comunicato, a nome dell’esercito, in cui annunciava la sospensione del Congresso nazionale generale. Non è chiaro, però, chi sia dietro all’operazione.
Secondo molti, i responsabili sarebbero i potenti miliziani di Zintan, che tengono prigioniero il figlio del defunto Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, e che si sono sempre rifiutati di consegnarlo a Tripoli. Per altri, tra cui il presidente del Parlamento, Nouri Abou Sahmein, il mandante sarebbe da ricercare nella figura dell’ex generale Khalifa Haftar, da sempre fedele a Gheddafi e già responsabile dell’offensiva lanciata venerdì a Bengasi, nell’est del Paese. Ciò che è certo, è che entrambi i movimenti, considerano il nuovo premier, Ahmed Miitig, troppo vicino ai fondamentalisti islamici per governare, e avrebbero agito per togliergli il potere.
Il governo libico ha annunciato nella tarda serata di domenica che il bilancio degli scontri seguiti all’attacco del Parlamento a Tripoli è di due morti e di 55 feriti. L’Italia, tramite la dichiarazione del ministro degli esteri Federica Mogherini, esorta la comunità internazionale a mobilitare il prima possibile gli strumenti della diplomazia “affinché la transizione verso la democrazia si compia con successo, con il coinvolgimento di tutte le parti, prima che la situazione sfugga a ogni controllo.”
Corinna Spirito