C’è solo un braccialetto bianco con su scritto il numero del cadavere, ad avvolgere i polsi degli unici 24 corpi recuperati, dopo il naufragio di domenica scorsa, giunti ieri mattina al porto Isla de La Valletta a bordo della nave Gregoretti della Guardia Costiera che ha proseguito poi il suo viaggio alla volta di Catania. Sono partiti uomini e arrivati numeri, sacchi neri senza nome sistemati in fila, accanto ai 28 superstiti, originari del Mali, della Sierra Leone, del Senegal, strappati all’ingenerosa custodia del mare. Dopo l’autopsia potranno ricevere una cerimonia funebre che sarà celebrata da un imam e dal vescovo di Malta.
Dovrebbero essere 800, tra morti e dispersi, le vittime del naufragio avvenuto domenica al largo delle coste libiche, secondo gli ultimi dati forniti questa mattina dalla portavoce dell’Unhcr, Carlotta Sami. Un tragico bilancio ricostruito grazie al racconto di alcuni sopravvissuti, un fragile esercito di corpi vivi con lo sguardo perso, che ha parlato di 350 eritrei, numerosi siriani e molti bambini d’età compresa tra i 10 e i 15 anni presenti sul barcone della speranza trasformatosi in un’anonima tomba di cadaveri. Il resto dei morti e dei dispersi è ancora in fondo al Canale di Sicilia, spariti nel nulla, invisibili in fondo al mare come su quella terra dalla quale sono fuggiti, come uccelli messi in fuga dalla deflagrazione delle bombe.
Tra i sopravvissuti, che sono stati sbarcati ieri nel porto di Catania, ci sono anche i due scafisti del barcone della morte – inabissatosi poco prima o subito dopo l’avvicinamento della nave portacontainer “King Jacob” – un tunisino e un siriano, arrestati dalla procura di Catania, secondo quanto dichiarato su Twitter dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Sono accusati di omicidio colposo plurimo, naufragio e favoreggiamento di immigrazione clandestina e sono stati individuati grazie all’aiuto dei sopravvissuti.
Intanto gli inquirenti della Procura di Catania che indagano sul naufragio avvenuto la notte tra sabato e hanno confermato la collisione tra la nave portoghese King Jacob e il barcone proveniente dal nord Africa, anche se, come si legge in una nota della Procura, «nessuna responsabilità – può profilarsi a carico del personale della mercantile che ha prestato soccorso non contribuendo tuttavia all’ evento fatale».
E mentre il leader della Lega, Matteo Salvini, accusa il premier Renzi di «avere questi morti sulla coscienza», il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha parlato di scafisti che finanziano il terrorismo islamico con un “business criminale” che vale ormai il 10 per cento del Pil libico, ribadendo la necessità di colpire i responsabili con interventi d’ emergenza e con una risposta immediata e condivisa dell’ Unione europea. L’ipotesi di un blocco navale, sostenuto da autorità internazionali; la distruzione degli scafi per privare i mercanti di mezzi, l’istituzione di campi di raccolta in Africa per proteggere profughi di guerra e respingere altri immigrati, sono alcune delle soluzioni avanzate in queste ultime ore.
Intanto, mentre la politica annaspa sul terreno minato degli interventi da mettere in campo per scongiurare un’ennesima tragedia del mare – in vista del vertice straordinario Ue previsto per giovedì – alcuni sopravvissuti rendono noti i macabri particolari della loro odissea, durante la quale un pezzo di legno, un salvagente, e persino un cadavere diveniva un appiglio, un’ancora di salvezza.
Dopo la drammatica ecatombe di domenica scorsa, la peggiore sciagura del mare mai capitata dal dopoguerra a oggi, circa un milione di migranti è pronto a partire dalla Libia. Temono più la guerra del mare, nonostante sappiano che il Mediterraneo si nutre di morti, uno ogni due ore. L’Unhcr stima che dal primo gennaio 2015 siano spariti in mare 1.600 migranti sui 35mila arrivati in barca sulle nostre coste. Circa 3.500 sono, invece, i morti nel 2014, vittime della guerra e del sogno, quasi sempre infranto, della grande Europa.
Samantha De Martin