L’economia in recessione da tre anni, le previsioni di una contrazione del 5,4 per cento nel 2020, l’attuale crisi del debito. In Argentina il lockdown – tra i più rigidi del mondo – ha funzionato bene, portando il Paese ad avere i tassi di contagio e letalità tra i più bassi del continente, ma sta spingendo il governo di Buenos Aires verso il nono default della storia nazionale. Dopo lo stallo seguito alle ultime trattative con i creditori, il termine per un accordo su una fetta di debito da 65 miliardi di dollari è stato esteso al 22 maggio. L’obiettivo, spiegano dal Ministero dell’Economia è quello di “incrementare la partecipazione e continuare con l’agenda di comunicazione attiva con i detentori dei titoli interessati dall’operazione”.
Le due precedenti scadenze sono saltate perché i creditori hanno giudicato insufficiente la proposta di ristrutturazione del governo argentino. Il presidente Alberto Fernández insiste su uno sconto con condizioni: tre anni di congelamento dei pagamenti, un taglio al valore delle cedole e uno spostamento al 2030 dei rimborsi del capitale. Pacchetto che equivale al 30-35 per cento dell’investimento. Ora i grandi fondi coinvolti (da Allianz a Fidelity, da Blackrock a HSBC) si attendono un miglioramento della proposta. Il Ministero dell’Economia vorrebbe offrire un tasso di interesse variabile legato all’andamento del Pil. Stessa soluzione che venne adottata dopo lo storico default del 2002 – il peggiore della storia argentina – e che grazie alla pronta ripresa dell’economia permise a chi accettò il patto di recuperare più di quanto avesse messo in preventivo.
Le condizioni attuali sarebbero accettate da non più del 15-20 per cento dei creditori. Il governo argentino prosegue le trattative, ma l’offerta è quanto al momento il Paese possa permettersi, sia per le condizioni generali della sua economia, sia per l’aggravamento in seguito alla pandemia. Il default è ormai dato per scontato da chi, come Goldman Sachs, prevede che il governo non possa far fronte in questa fase agli impegni di spesa pubblica necessari per arginare la crisi.