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Anoressia e bulimia
"all'apparenza opposte, due
facce della stessa medaglia"

La dottoressa Cordeschi a LumsaNews

"Importante parlarne in tutti i media"

di Enrico Scoccimarro15 Marzo 2021
15 Marzo 2021

I disturbi alimentari hanno importanti conseguenze sul rapporto fra chi ne soffre e la società. È quindi fondamentale stimolare l’opinione pubblica per aiutare chi ne soffre a superare le proprie insicurezze, spiega a Lumsanews la psicologa e psicoterapeuta Flaminia Cordeschi, presidente dell’associazione DAI (Disturbi Alimentari in Istituzione), sede di Roma della FIDA (Federazione Italiana Disturbi Alimentari).

Dott.ssa Cordeschi, tenendo presente gli ultimi dati che raccontano un incremento del 30% del fenomeno dei disturbi del comportamento alimentare, quali sono le cause di tale incremento e in quale modo pensa che la pandemia abbia contribuito?

L’emergenza Covid ha causato in effetti un forte disorientamento psicologico in soggetti di tutte le età e in particolare negli adolescenti. Dover rimanere a casa ha fatto emergere vissuti d’incertezza e precarietà con riflessi negativi sull’alimentazione.

In alcuni casi è ricomparso un pregresso disturbo del comportamento alimentare, in qualche modo compensato prima dell’arrivo del Covid-19. In altri il disturbo alimentare è iniziato quando il rallentamento del ritmo della vita ha reso possibile un maggior contatto con sé stessi vissuto come problematico e irrisolto.

Lei ha a che fare quotidianamente con pazienti di giovane età. Cosa li porta, nella maggior parte dei casi, ad avere un rapporto conflittuale od ossessivo con il cibo? Nota un crescente aumento della dipendenza da cibo, oltre all’anoressia e bulimia? Quale di questi disturbi è più frequente? 

I disturbi alimentari dipendono da una combinazione di fattori sociali, culturali, familiari e individuali. Spesso l’esordio del disturbo alimentare è di tipo anoressico e legato al tentativo del soggetto di superare i problemi d’identità operando una pseudo-normalizzazione attraverso l’adesione agli standard estetici e culturali dominanti: belli, magri, efficienti.

Nel tempo alle restrizioni si possono alternare comportamenti di eccesso alimentare in un circolo vizioso che mina la fiducia del soggetto nel trovare un contatto reale con il proprio corpo che lo renda capace di “sentire” sensazioni ed emozioni.

Anoressia e bulimia sono all’apparenza opposte, ma sono due facce dalla stessa medaglia. In termini di posizione interna sono sempre un modo per poter continuare a non esserci.

In che modo pensa che l’opinione pubblica, in occasione della giornata nazionale del fiocchetto Lilla, possa supportare le persone affette da tali disturbi?

Per chi soffre di disturbi alimentari è difficile chiedere aiuto. Il disturbo alimentare spesso è vissuto come un’autocura dalla quale è difficile separarsi. Chiedere aiuto vuole dire superare la vergogna che si prova per come si è, fisicamente e psicologicamente.

In altri casi invece il disturbo non è riconosciuto perché minimizzato o nascosto, ma non per questo non è sintomo di un forte malessere interiore.

È importante parlarne nei media di ogni tipo e favorire situazioni di confronto nella scuola, coinvolgendo anche le famiglie, per consentire a chi soffre di disturbi del comportamento alimentare di superare il timore di essere diverso e sbagliato e far emergere la domanda di aiuto, una domanda che altrimenti finisce spesso per rimanere inespressa o inascoltata. Ci tengo a sottolineare che iniziare presto un percorso di cura è essenziale per una guarigione più veloce.

Pensa che esista una strategia sociale finalizzata a combattere il fenomeno? Se sì, quale? Se no, quale dovrebbe essere?

Credo per l’appunto che vadano favorite iniziative che permettano alle persone con disturbi del comportamento alimentare di non isolarsi e di condividere le proprie difficoltà in contesti non giudicanti, imboccando la strada per loro così difficile del riconoscimento del corpo come base sulla quale costruire la loro identità.

L’educazione alimentare e la cultura del cibo sono materie spesso poco dibattute e non trattate dalle scuole. In che modo si può dare un segnale alle istituzioni per dare ad esse maggiore spazio? Crede inoltre che la tradizione culinaria del nostro paese possa essere in qualche modo un buon alleato oppure no? 

Certo, come dicevo la scuola e la stessa università sono luoghi fondamentali per la formazione degli adolescenti, una formazione non solo legata alle specifiche materie di studio. Penso che la nostra tradizione alimentare basata sulla cucina mediterranea rappresenti, soprattutto per come oggi si è aggiornata in senso qualitativo piuttosto che quantitativo, una risorsa che non ostacola la possibilità di entrare in un contatto sano e reale con il proprio corpo. Per chi soffre di DCA è però necessario attivare un percorso specializzato di sostegno, che riguardi anche le famiglie, basato su un aiuto psicologico, meglio se di tipo psicoanalitico, e nutrizionale, alle volte anche medico e psichiatrico. Quello che noi di DAI-FIDA chiamiamo il modello integrato di cura.

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