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Andrea Scanzi racconta le sconfitte e le conquiste della sua generazione

di Raffaele Sardella02 Maggio 2014
02 Maggio 2014

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“La mia generazione ha perso”. Comincia con le parole di Giorgio Gaber lo spettacolo di Andrea Scanzi che contrappone due generazioni di cantautori: quelli della vecchia guardia, arrabbiata e combattiva, pronta a esprimersi senza mezze misure; e quelli più giovani, come Ligabue e Giovanotti, che appaiono invece accondiscendenti e remissivi. “Per loro è lecito arrabbiarsi” – dice Scanzi – “ma senza esagerare”. La contrapposizione, ovviamente, non si limita alla sfera artistica ma riguarda la società in generale. Se la generazione di Gaber ha lottato, si è fatta sentire e – nonostante il pessimismo di Gaber – “ha ottenuto quantomeno la legge sull’aborto e quella sul divorzio”, la generazione cui appartiene Scanzi ha smesso di “urlare” per reclamare i propri diritti.
Partendo dalla musica per arrivare alla politica, Scanzi racconta un’Italia nella quale si è assistito ad un annacquamento delle ideologie. Non esistono più personaggi come Berlinguer, di cui Scanzi ricorda l’ultimo comizio – quello subito prima della morte – che il segretario del PCI portò a termine dimostrando tutta la sua forza d’animo, nonostante fosse colto da malore. Ora la tempra è cambiata. Non capita più di ritrovare nella classe politica lo stesso spirito di sacrificio, la sessa devozione allo stato, lo stesso senso del dovere. Non stupisce che i giovani, dice Scanzi, si rifiutino di immedesimarsi in questa classe dirigente. Non solo: mancano le alternative e le proposte. Quella descritta da Scanzi (classe ’74), sembra essere una generazione che ha tirato i remi in barca e, in balia della corrente, rinuncia a schierarsi e a lottare.
Tuttavia, per l’autore toscano, esistono degli esempi virtuosi, ad ognuno dei quali dedica un piccolo aneddoto, col suggerimento di trarne ispirazione. Sono storie segnate dalla tragedia, che coinvolgono il pubblico e strappano applausi. Scanzi rilegge le vicende di personaggi come Pantani e Troisi, dediti con abnegazione assoluta al proprio lavoro. Morti perché anteponevano i propri obiettivi anche alla salute personale.
Sacrificio e senso del dovere sono le qualità che per il giovane Scanzi salveranno l’Italia, e a questo proposito ricorda le parole di Antonio Caponnetto rivolte agli studenti di un liceo: “la colpa più grande; ciò che non renderebbe giustizia a Falcone e Borsellino” – ammonisce il maestro dei due magistrati – “sarebbe se voi giovani non vi sforzaste di incidere almeno un po’ sulla realtà”.

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