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Amnesty: «Il 2012 deve essere l’anno dell’azione»

di Paolo Costanzi24 Maggio 2012
24 Maggio 2012

In molte aree del mondo il 2011 è stato un anno davvero “rivoluzionario”. La richiesta di diritti umani ha riecheggiato dalla Tunisia – che ha dato il via alla Primavera araba – all’Egitto, da Mosca a New York, da Londra a Madrid.

Le migliaia di cittadini che hanno infiammato le piazze di tutto il pianeta hanno lanciato il guanto della sfida ai governi, chiedendo loro di stare dalla parte della giustizia, dell’uguaglianza e della dignità. Molti leader hanno tremato perché queste manifestazioni sono la prova che tutto è possibile se lo si vuole veramente. Il senso delle rivolte si può riassumere in una frase: i “capi” che non rispondono alle esigenze del proprio popolo non saranno ulteriormente accettati.

Tuttavia c’è un problema. Per Amnesty il coraggio mostrato da chi ha infuocato questi ultimi dodici mesi è stato seguito dal «fallimento delle leadership» nate dalle ceneri dei governi caduti. È il globale fallimento del 2011, anno in cui i dirigenti politici hanno risposto alle proteste con brutalità o indifferenza. Ora, secondo Amnesty, spetta ai «governi dimostrare di possedere una leadership legittima e combattere l’ingiustizia, proteggendo chi è senza potere e limitando l’azione di coloro che il potere ce l’hanno». Dunque, sembra essere arrivato il «momento di mettere le persone prima delle aziende e i diritti prima dei profitti». Queste sono le dure parole di Christine Weise, presidente di Amnesty International Italia, la quale, nei giorni scorsi, ha presentato a Roma il Rapporto annuale 2012.

Durante la presentazione del documento, la “coordinatrice diritti umani in Italia” di Amnesty, Giusy D’Alconzo, ha bacchettato l’Europa mostrando come «la risposta umanitaria promessa alla Primavera araba sia insufficiente». In particolare ha sottolineato lo scarso interesse dimostrato dall’Italia che, incastonata in un panorama geopolitico che nessun’altra nazione europea ha, potrebbe essere il Paese cardine sul quale fare leva. Ma al momento non è così: «la politica dei respingimenti – afferma la D’Alconzo – non solo è illegale, ma anche inutile, dal momento che a Lampedusa, per esempio, sono già arrivati 50mila migranti». Per Amnesty, infatti, vanno rivisti alcuni trattati come l’“Accordo Immigrazione Zero”. Questo perché in mare non esistono zone franche. Gli aiuti vanno forniti a chiunque, a prescindere da dove ci si trovi, in acque internazionali o vicini alle coste italiane.

Paolo Costanzi

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