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HomeEsteri Amighini (Ispi): “I vaccini sono stati in America Latina un’arma diplomatica per la Cina”

"La Cina ha usato i vaccini
come arma diplomatica
con i Paesi del Sud America"

Amighini, del programma Asia (Ispi)

"Sembra un colonialismo 2.0"

di Tommaso Bertini18 Marzo 2022
18 Marzo 2022

Alessia Amighini, professoressa dell’Università del Piemonte Orientale e co-direttrice dell’Asia Center dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Per Lumsanews ha descritto gli aspetti economici delle relazioni tra Cina e Paesi dell’America Latina.

Qual è l’oggetto degli scambi tra Cina e America Latina?
“La Cina ha sempre avuto relazioni commerciali abbastanza interessanti con l’America Latina. Se prima del 2020 la presenza delle imprese, del soft power e del capitale cinese era alta, con la pandemia, è aumentata esponenzialmente. Insieme agli Stati Uniti, la Cina è il primo partner commerciale dell’America Latina. Diversi prodotti manifatturieri provengono dalla Cina. Da tempo i cinesi cercano di fare pressione sui governi affinché vengano sostituite le aziende americane, canadesi o inglesi, con aziende cinesi. Le ambasciate, quindi, hanno da fare un lavoro enorme. L’Argentina, da questo punto di vista, è in difficoltà. Lo stesso vale per Perù, Cile e Colombia. Una sorta di colonialismo 2.0”

Ciò vuol dire che la natura di questi accordi commerciali è squilibrata in favore della Cina?
“L’America Latina ha beneficiato moltissimo della crescita cinese. Essendo un’area ricca di materie prime, dal rame, al pesce alla frutta, esportano gran parte dei propri beni verso la Cina. È un po’ quel che è successo a tanti Paesi ricchi di materie prime. Un esempio è l’Australia, che senza le importazioni cinesi sarebbe in grande difficoltà. Questo avviene anche in America Latina dove il potere negoziale con Pechino risulta minimo e di conseguenza i Paesi sono tenuti sotto scacco da Pechino che sfrutta questa situazione per scalzare le aziende occidentali. I cinesi stanno quindi facendo lucidamente questo tipo di operazioni.”

Questo ha come obiettivo solo di garantirsi le materie prime e mercati per le proprie aziende o c’è un disegno più grande?
“Loro hanno indubbiamente grande bisogno di assicurarsi forniture di materie prime. Ma avere anche un potere soft sul Paese, dovuto poi a mole di investimenti di capitali e attività economica che si genera, è sicuramente un by product che fa bene.”

L’aumento di aziende cinesi nell’area ha avuto conseguenze a livello occupazionale locale?
“Il beneficio dell’investimento cinese, in termini di aumento della capacità produttiva e degli spillover di imprese nuove che vengono aperte localmente per fare da indotto, indubbiamente c’è. Ma bisogna tenere presente anche il livello di corruzione dei funzionari locali. L’occupazione, però, è il punto più discusso. Certo, l’occupazione generica è sicuramente aumentata. Ma di fatto è tutto gestito dai cinesi, che portano in loco la propria manodopera specializzata, come ingegneri e geometri. Non è quindi chiaro quanto possa stabilmente creare volano per l’occupazione. Potrebbe, ma si tratta comunque di occupazione di basso valore aggiunto.”

E questo crea un’impronta più coloniale?
“Sì, rimangono sempre degli scarsi legami strutturali con il Paese.  Le imprese ci sono, ma sono imprese cinesi. Quindi, alla fine, il prodotto interno lordo del Paese ospitante aumenta, ma il prodotto nazionale lordo no, perché i fattori produttivi sono quelli cinesi, e contano in capo al Paese emittente.”

L’incremento dei rapporti durante la pandemia è legato anche alla fornitura di vaccini?
“I vaccini sono stati sicuramente un’arma diplomatica molto efficace, e anche economica. Da quando sono entrati in commercio, tutti i Paesi erano in coda per ricevere il Sinovac. Molti lo hanno ricevuto, ma ci sono state grandi ripercussioni sull’opinione pubblica perché la distribuzione non è stata eterogenea. Poi si è scoperto che la copertura del vaccino cinese contro il covid è piuttosto bassa. Tant’è che in Perù, dopo manifestazioni di piazza, si è deciso di ordinare il vaccino Pfizer.”

Dal 2013 si parla delle nuove vie della Seta, l’America Latina è o diventerà un’estensione di questo progetto?
“Le nuove vie della Seta sono un obiettivo di Stato che prevede cinque pilastri. Infrastrutture e trasporti sono solo alcuni dei fattori, mentre gli altri quattro sono commercio, coordinamento di politiche, integrazione finanziaria, culturale e connettività digitale. Da questo punto di vista l’America Latina rientra nel progetto. Sebbene le vie di trasporto si siano sviluppate, inizialmente, in Eurasia, era già inteso che si sarebbero allargate fin dove possibile. È un programma globale, che non ha confini.”

Rispetto agli Stati Uniti, la Cina ha intenzione di scalzarli dalla regione? Gli Usa sono ancora il punto di riferimento?
“Lo sono ancora, però dipende dal Paese, è difficile generalizzare su una regione così vasta. Sull’Argentina, ad esempio, avrei qualche dubbio. Un Paese che ha sempre avuto crisi di liquidità. Avendo quindi grande timore di ulteriori crisi della bilancia commerciale, è più legata alla Cina rispetto ad altri Paesi limitrofi. Anche Venezuela e Colombia seguono logiche tutte loro. Il fascino di questi Paesi, mediamente ancora poveri, per la Cina è forte.”

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