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Alternanza scuola-lavoro
la mossa del Miur contro
la disoccupazione giovanile

Il governo spiega le nuove misure

e cerca di spegnere le polemiche

di Valerio Toma13 Febbraio 2017
13 Febbraio 2017

«L’Alternanza scuola-lavoro è un’opportunità di crescita fondamentale per le nuove generazioni» ha spiegato la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Per il Miur il progetto della “Buona Scuola” sarà la mossa giusta per risollevare le sorti della disoccupazione giovanile, arrivata oggi al 40%. Ma in che modo?

Secondo le fonti del Miur «l’alternanza è didattica, permette allo studente di affinare la propria formazione attraverso un’esperienza lavorativa, che permette di acquisire in modo diverso competenze molto apprezzate dal mondo del lavoro quali problem solving, comunicazione, lavoro in gruppo». Ma per il governo dietro il progetto c’è molto di più. L’alternanza è anche consapevolezza, perché lo studente può verificare le proprie percezioni e aspettative in base a ciò che ha visto. «A quindici anni non sempre si ha coscienza  di come un’azienda si organizza per offrire prodotti, servizi o altre attività – spiegano dal Miur – l’alternanza permette di confrontarsi contribuendo a queste attività».

Non sono dello stesso parere gli studenti, che vivono sulla propria pelle queste esperienze. Nel primo anno sono stati segnalati diversi casi di sfruttamento lavorativo e di disorganizzazione tra scuole e aziende. Per quest’anno il ministero ha deciso di adottare delle misure a tutela della formazione studentesca. La più attesa è la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti e delle studentesse. Il Miur ritiene che garantirà «alle studentesse e agli studenti, ma anche alle strutture ospitanti, una maggiore consapevolezza dei propri diritti e delle proprie responsabilità».

Nell’anno scolastico 2016/2017 il governo ha deciso di inserire 27.000 studenti nel programma “campioni di alternanza”, che comprende percorsi formativi all’interno di 16 grandi aziende. Tra queste è presente la McDonald’s, che ha fatto infuriare diversi studenti per le sue discutibili politiche di lavoro.

Ma il ministero cerca di spegnere le polemiche e invita a prendere esempio da queste multinazionali. «Siamo partiti con le grandi aziende perché erano più pronte, strutturalmente e culturalmente, e potevano essere, attraverso la loro presenza diffusa sul territorio, un punto di partenza importante. Abbiamo cominciato con loro, ma siamo consapevoli che la sfida si vince solo se si coinvolgono le piccole e le medie imprese che rappresentano la maggiore parte del nostro tessuto industriale».

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