Stop ai grandi concerti a causa del Coronavirus, ma il fermo riguarda anche tutti i piccoli locali di musica dal vivo. “Che ora rischiano concretamente di scomparire”, denuncia Federico Rasetti, vicepresidente di KeepOn Live, prima associazione di categoria di live club e festival italiani. “Ci sono i grandi eventi, nei palazzetti, ma anche quelli più piccoli, in location da mille paganti, che però hanno una programmazione continuativa. Ecco: noi rappresentiamo proprio quegli spazi”.
Spazi importanti per promuovere la musica in Italia.
«Essenziali: perché garantiscono possibilità di esibirsi agli artisti meno famosi, e poi perché, per esempio al Sud, sopperiscono all’assenza di altre, grandi strutture».
Qual è il problema, quindi?
«Che questi spazi non sono riconosciuti come a sé stanti, c’è un vuoto normativo. Alcuni sono associati alle discoteche, altri ai bar, ma questi ultimi non hanno la stessa “valenza culturale” dei live club, diciamo. E poi i costi dei locali che fanno musica dal vivo sono più onerosi, per motivi di personale tecnico, programmazione, ticketing, sicurezza. Dovrebbero essere riconosciuti dall’ordinamento giuridico in maniera indipendente, perché purtroppo non c’è un impianto normativo adatto. Se si potrà riaprire prima, viste le dimensioni non enormi di questi locali, dovremo attrezzarci con lo Stato per le sanificazioni, oltre a chiedere misure di detassazione. Altrimenti, c’è il rischio che riparano senza che la gente voglia davvero venire ai concerti. Altrimenti sarà meglio rimanere chiusi in modo da accedere agli ammortizzatori sociali».
A proposito: voi finora dallo Stato cosa avete ottenuto, in quanto ad aiuti?
«Praticamente nulla. I locali segnati come imprese: i 25mila euro, la cassa integrazione e poco altro. Quelli del settore del terziario, niente. Misure insufficienti in ogni caso. La situazione è grave ed entrambe le tipologie di locali rischiano di scomparire. La speranza è tutta sul decreto di maggio, dove tutti insieme punteremo a riformare il settore del pubblico spettacolo e a regolamentare l’industria creativa. KeepOn punterà al riconoscimento specifico dei nostri spazi, come ti dicevo prima, col modello del cinema d’essai – detassazione come nell’editoria, tutele. Certo serviranno dei criteri oggettivi, ma li troveremo. Apriamoli, dei locali virtuosi. Dove è vietato il gioco d’azzardo, che promuovono i valori del territorio di appartenenza. O meglio: già esistono, riconosciamoli».
Il settore della musica è trascurato dalle istituzioni?
«Assolutamente sì. I nostri, poi, sono spazi invisibili, è questo il problema. Gli artisti sono più in vista, i grandi concerti anche. I locali più piccoli, invece, nonostante siano importanti per la musica sono trascurati. Però la colpa è anche dei locali stessi: spesso si fa fatica a metterli insieme, a farli collaborare fra loro. Speriamo di ottenere qualcosa: finora ci sono stati dei progressi, ma solo perché si partiva davvero dal zero. Ma sarà difficile, quindi o i locali si autoregoleranno oppure si convertiranno al food, diventando pub per sopravvivere. Ma è triste: perché così cambiano natura».