«Gli aiuti di Stato non sono mai qualcosa di buono, ma ci troviamo in una situazione di emergenza e rischiamo una rottura delle capacità produttive a causa dei maggiori costi. Gli interventi ponte possono avere senso ma devono essere temporanei». Riguardo l’inchiesta su nazionalizzazioni e aiuti di Stato, Lumsanews ha parlato con il professor Fabio Padovano, docente di Scienza delle Finanze all’Università degli Studi Roma Tre.
Lei cosa pensa a proposito dell’ingresso statale nelle aziende?
«Dovrebbe essere il più possibile limitato. Nel corso degli anni abbiamo avuto esempi di imprese decotte che poi lo sono diventate ancora di più, come ad esempio Alitalia. Un’azienda in cui non si riesce a licenziare il personale in eccesso perché avrebbe ricadute dal punto di vista elettorale e allo stesso tempo non si possono scegliere dei manager che non siano politicizzati o comunque schierati. Non mi sembra ci siano i presupposti per creare maggiore efficienza con l’intervento dello Stato».
Proprio Alitalia adesso riceverà altri 3 miliardi in virtù del decreto Rilancio ed è previsto l’ingresso del Ministero dell’Economia.
«Alitalia è già stata pubblica quando concorreva con altri vettori nazionali e tra l’altro i problemi sono sorti in quel periodo. Adesso la situazione è mutata e le compagnie aeree non sono più legate a un Paese, pensiamo per esempio a Ryanair. La nazionalizzazione di Alitalia sarebbe a carico del contribuente. Altre compagnie, come Swiss, sono fallite e poi ripartite. Alitalia viene continuamente salvata per un interesse politico».
Qual è il futuro della compagnia di bandiera secondo lei?
«Continuerà a pesare sul contribuente e ad essere in perdita, commettendo lo stesso errore del passato. Le imprese di mercato devono massimizzare il profitto, un obiettivo che non appartiene allo Stato. Tra l’altro, una compagnia aerea è comunque soggetta a concorrenza e Alitalia sarà inefficiente proprio perché pubblica. Avrà un vincolo di bilancio soffice, ma non mi sembra una buona politica industriale e un Paese come il nostro, con un debito pubblico molto elevato, non se lo può permettere».
Parliamo di un’altra azienda: Fiat Chrysler. Che ne pensa della polemica sulla sede all’estero e la richiesta di aiuti di Stato?
«Sicuramente un’azienda fa gli interessi dei propri azionisti e cerca di pagare meno imposte possibili. Però, se Fiat in questo momento si è ricordata di essere italiana e quindi ritiene di chiedere soldi ai contribuenti, è diritto dello Stato imporre determinate condizioni».
L’Europa ha allentato le restrizioni sugli aiuti di Stato. Però su 2.130 miliardi totali ammessi, la Germania ne può spendere circa 1.000. Non si crea uno squilibrio?
«L’Unione europea ha fatto un intervento significativo con la mutualizzazione del debito, dopo l’accordo Merkel-Macron. Gli Stati però non hanno condizioni analoghe e la Germania fa i propri interessi, come tutti gli altri. Dopo la fine della divisione, l’economia della Germania Est non era florida e in questi anni il Paese ha cercato di aumentare la propria produttività riuscendo a risollevarsi».